Anche quest'anno la Rai promuove un bando per il monitoraggio sulla rappresentazione della figura femminile nei programmi della Tv pubblica. Un appalto da 390.000 euro per la realizzazione di uno studio che, attraverso l'analisi di oltre 1000 trasmissioni, fa un ritratto della disparità di rappresentazione tra donne e uomini. Una ricerca dal nome ostico, spigoloso, per certi versi anche fuori luogo, che negli scorsi anni ha fatto emergere dati che meritano interesse.
Come è andata per le donne in Rai nel 2019
Era toccato all'Osservatorio di Pavia a realizzare il monitoraggio per il 2019. Una analisi che evidenzia "una rappresentanza di genere complessivamente sbilanciata a favore degli uomini, che costituiscono il 63,7% delle 18.688 presenze registrate, contro il 36,3% di donne". Dato che, spiega lo stesso studio, risulta sostanzialmente stabile rispetto al 2018. La Rai pre pandemia presenta una differenza di genere qualitativa, più che quantitativa. Il numero di conduttrici e conduttori in Rai tende ad essere equivalente (al netto di una leggera sproporzione verso i secondi), ma il divario si presenta nell'ambito della valorizzazione delle competenze: ad esempio negli spazi televisivi dedicati alla politica (solo il 18,1% di presenza femminile), tra i cosiddetti esperti (solo il 22% è rappresentato da donne), così come tra le celebrità ospiti in Tv, per il 66,9% uomini. In sintesi lo studio del 2019 sottolinea la "persistenza di una sotto-rappresentazione femminile che ha la sue radici nella storia della TV, italiana ma anche internazionale", che rispecchiare una società non ancora in grado di includere a pieno titolo le donne.
Un 2020 disastroso per la Rai
Sembra scontato l'approccio da adottare davanti a certi dati e, per logica, verrebbe da pensare a un intervento immediato sulla linea editoriale con una strategia correttiva per riparare a certe storture. Se non fosse che il 2020, anno per il quale il monitoraggio non è stato ancora ultimato, ci racconta una storia completamente diversa, fatta di continui imbarazzi e clamorosi scivoloni in Rai, fatti televisivi ed extratelevisivi, cartine tornasole di cuna certa concezione della figura femminile nei corridoi servizio pubblico. Chi non ricorda il celebre "passo indietro" decantato da Amadeus nella conferenza stampa di Sanremo, parlando del rapporto tra Francesca Sofia Novello e il compagno Valentino Rossi?
Così come tornerà alla mente di molti la reazione fredda della dirigenza Rai davanti alle parole di Lorella Cuccarini, che nel dire addio a La Vita in Diretta aveva parlato pubblicamente di "un comportamento maschilista" da parte di un collega, alludendo probabilmente ad Alberto Matano. Questione rimasta sostanzialmente insoluta e priva di spiegazioni esaustive, trattata come una semplice diatriba tra conduttrice e conduttore.
Il caso Detto Fatto
Il peggio si verifica tra novembre e dicembre 2020, con una clamorosa doppietta. Prima l'eclatante caso di Detto Fatto con la lezione sulla spesa sexy in tacchi a spillo, che ha alimentato enormi discussioni soprattutto sulla tolleranza della squadra di autori del programma rispetto a un'idea di questo tipo. Poi, alcune settimane dopo, la battuta imbarazzante a sfondo sessista pronunciata da un giornalista di Rai Sport. Il 2021 è partito con lo stesso mood, se consideriamo le parole pronunciate da Alan Friedman su Melania Trump, comparata dal giornalista a una "escort".
A cosa serve tutto questo?
Cosa ci racconterà lo studio frutto del monitoraggio sulla rappresentazione della figura femminile 2020? Quelli su citati sono casi isolati, frutto di responsabilità individuali o di gruppo, con un filo conduttore piuttosto evidente che è la matrice culturale, l'ecosistema, il contesto che favorisce l'interiorizzazione di una tolleranza verso certe scelte editoriali discutibili, la sensazione che alcune regole necessarie a cambiare la Rai da dentro stiano solo sulla carta. Il monitoraggio della rappresentazione della figura femminile in Rai si fa dal 2016 e nel contratto di servizio 2018-2022 che l'azienda ha firmato con il Ministero dello Sviluppo Economico c'è scritto a chiare lettere che la Rai è chiamata ad "evitare la messa in onda di programmi che possano indurre a una fuorviante percezione dell’immagine femminile". E allora la domanda sorge spontanea: a parte qualche testa saltata e fiumi di indignazione passeggera, quale utilità hanno avuto i monitoraggi sulla rappresentazione femminile in Rai se il 2020 del servizio pubblico è stato un disastro per l'immagine della donna restituita dall'azienda?