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Adrian – La serie

Accendete Celentano che canta, spegnete Adriano che stanca

L’ennesimo flop di Adrian in tv non è solo una questione di ascolti, ma di sentimento. Il pubblico sembra non apprezzare più quel predicatore anticonformista amante delle invettive, che della provocazione aveva fatto il suo secondo mestiere. Ama, invece, ancora il Celentano cantante e vorrebbe tornasse a fare solo quello, premiandolo puntualmente in classifica e fissando Adriano con una sufficienza che altro non è che un boomerang volutamente provocatorio da lui stesso generato.
A cura di Eleonora D'Amore
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L'ennesimo flop di Adrian in tv non è solo una questione di ascolti, ma di sentimento. Il pubblico sembra non apprezzare più quel predicatore anticonformista amante delle invettive, che della provocazione aveva fatto il suo secondo mestiere. Ama, invece, ancora il Celentano cantante e vorrebbe tornasse a fare solo quello, premiandolo puntualmente in classifica e fissando Adriano con una sufficienza che altro non è che un boomerang volutamente provocatorio da lui stesso generato. Si perché quell'atteggiamento spocchioso, teatrale, prevedibile nel suo voler essere imprevedibile, denso di pause e occhiatacce ammonitrici, ha pure un po' stancato.

In un precedente modello televisivo ha funzionato, ma solo perché in fondo la sua incontinenza verbale e il suo temperamento indomabile erano l'anima dello show. Parliamo di Svalutation (Rai 3, 1992), Francamente me ne infischio (Rai 1, 1999), 125 milioni di caz..te (Rai 1, 2001), Rockpolitik (Rai 1, 2005), programmi che appartengono a più di un decennio fa e che erano figli di un'altra epoca, e soprattutto di altri ascolti. Per intenderci, era un tempo in cui la Rai si poteva permettere i 10 milioni di telespettatori non solo per il Festival di Sanremo. Un tempo in cui non esisteva altro che la dimensione verticale: il personaggio parlante in alto e il pubblico ascoltante in basso. Un periodo in cui si accettava di buon grado di essere disciplinati attraverso i sermoni in tv, essendone prevalentemente a digiuno altrove.

Oggi, invece, la dimensione è senza dubbio più orizzontale. Si è accorciata la distanza tra persone e personaggi, i due macro-sistemi sociali comunicano senza grandi difficoltà, si tengono aggiornati sulle rispettive vite, parlano, si confrontano e arrivano anche allo scontro frontale, senza soffrire nemmeno più il timore reverenziale infuso dalla notorietà. Celentano, in questo senso, è il potere destituito dell'autorità, di ciò che oggi non viene più riconosciuta come tale. Nell'era del bullismo su professori e genitori, in cui l'ammutinamento di alunni e figli è ormai una realtà che ha afferrato il timone della nave educazionale, l'egida di un ‘santone-guida' che stabilisca il perimetro entro il quale debbano muoversi i maggiori esponenti della tv italiana e si esprima con diktat assolutistici rispetto le condotte etiche e morali altrui, è a dir poco soggetto a ban.

E la stessa reticenza si è scontrata con il grande ritorno di Adrian in tv, riapparso in palinsesto dopo essere stato stoppato a causa delle condizioni di salute avverse del suo creatore (o di quelle degli ascolti mai decollati), quando si è tentato di virare il discorso sul peggiore degli approcci paternalistici di stampo ambientalista, con improbabili similitudini con Greta Thunberg, rispolverando umori da Fantastico anni 80. Quel Celentano che quasi si giocò un posto in Rai a causa dello slogan Siamo i figli della foca, lanciato con un devastante video sul massacro delle foche bianche davanti alle coste canadesi, mentre nello studio fu buio all'improvviso e una musichetta apocalittica avvolse il pubblico tramortito. Il Molleggiato, non bastasse, chiese anche ai telespettatori di scrivere ‘la caccia è contro l' amore e non la vogliamo‘ sulle schede elettorali dei cinque referendum abrogativi che avrebbero affrontato alle urne tra l'8 e il 9 novembre del 1987.

Il capostruttura Maffucci, responsabile del programma Fantastico, commentò l'accaduto parlando di ‘inevitabili conseguenze nei rapporti tra Celentano e la Rai‘ e definendosi ‘rispettoso della professionalità degli artisti ingaggiati‘, seppur consapevole di dover preservare le prerogative aziendali. Altri tempi, altri Celentano. Nulla a che vedere con il recente tentativo di evasione dallo studio di Cologno Monzese e la teatralità ostentata nel diventare, senza motivo, pura pantomima.

Che Celentano canti e non si perda in questi tentativi di fascinazione dell'audience, che poi si disperdono nel suo continuo ribellarsi al concetto di fallibilità personale e ricondurre, miseramente, l'esito deludente del programma solo alla superficialità del suo uditorio.

"Farò peggio di prima, spengo tutto", dice, per poi esigere di essere rincorso, in extrema ratio, ed essere pregato di ritornare in scena, tra gli applausi scroscianti dei peggiori capi claque di sempre. Che Celentano canti, ché di quel Burbero un po' Bisbetico Domato dai segni particolari Bellissimo, si vorrebbe solo sapere come furono i fasti di quel cinema e di come il mercato discografico intercettò il favore del grande schermo, generando uno dei più grandi business post musicarelli. Non si vorrebbe di certo assistere alla messa in scena di ciò che, in maniera più strumentale, aspirerebbe a essere ancora al di là della sua innegabile arte, favorendo bicchieri d'acqua per mandare giù l'unico racconto distopico possibile, quello dell'attuale se stesso.

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Casertana di origine, napoletana di adozione. Laureata in Lingue e Letterature Straniere all'Università L'Orientale di Napoli, lavora a Fanpage.it dal 2010, anno in cui il giornale è nato. Caposervizio dell'area spettacolo.
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