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Se Fabrizio Corona si sente un eroe nazionale

Se Fabrizio Corona si sente un eroe nazionale è colpa nostra. Di chi si sente partecipe di un’esaltazione costruita su milioni di euro guadagnati in locali e discoteche, sulla stima donata fuori dalle celle di un carcere e sulla comprensione offerta ogni qual volta il concetto di giustizia personale ha eclissato una discutibile condotta pubblica. Può tutto questo diventare un modello? La risposta è che lui, lo si voglia o no, già lo è.
A cura di Eleonora D'Amore
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Se Fabrizio Corona si sente un eroe nazionale, un mito, è colpa nostra. È colpa di chi ha partecipato alla sua ricchezza. Di chi ha versato la sua quota in quei due milioni di euro, fatti di serate in locali, negozi e discoteche. Di chi si inchina dinanzi alla sofferenza di un uomo che si proclama vessato dalla giustizia, quasi perseguitato da una legge che, a suo dire, non sarebbe uguale per tutti.

Nessuno lo considera uno stupido e non è un caso. È scaltro, sveglio, si considera un bravo imprenditore, perché ha fatturato tanto e reso possibili svariati posti di lavoro. Il come l'ha fatto non importa, è successo. "La vicenda di Corona ha in sé un problema morale ed etico che fa venire fuori tutto il sistema di ipocrisie italiano" è il pensiero dell'avvocato Chiesa, che è diventato un padre, più che rimanere un bravo avvocato. Una dimensione familiare che ha preso il sopravvento dentro e fuori i tribunali, favorendo Corona in quel processo di trasformazione da latitante in Portogallo a ‘San Francesco D'Assisi' che tanto ha turbato Mughini.

È in questa sua narrazione fatta di luoghi comuni, di evasioni fiscali considerate quasi obbligatorie, di un mondo di facciata rimasto spesso impunito, di nomi altisonanti come ‘Gino Paoli, Valentino Rossi, Luciano Pavarotti"; è in questo racconto, amaro e talmente lapalissiano da strappare addirittura un sorriso, che un mucchio di soldi accantonati in una soffitta hanno preso la forma di una scelta coraggiosa rispetto a un ‘vile' conto all'estero. Coraggio e viltà, è la misura di ciò che ci circonda a darci quella dell'essere umano che sembra aver perso la sua proporzione.

Un essere umano che non può non dire ciò che pensa, non se la sente di venire meno a se stesso, è costretto dalle sue verità a una continua logorrea fatta di dettagli inconfessabili, di ipotesi mai svelate e teorie complottiste, a momenti di pura onnipotenza, scanditi dal fare sfrontato di chi ne sa, dalla giurisprudenza al giornalismo, a tal punto da trasformare un noto scrittore in un nano da giardino, capace di scrivere libri che neanche sa scrivere. Si può arrivare all'irriverenza, all'offesa, alla maleducazione, tutto in nome del potere salvifico della verità. E in nome di un fatturato milionario che non è pensato per essere speso, serve a sedare demoni che stanno dentro più che fuori.

È colpa nostra se il concetto di reputazione si spoglia, viene fagocitato da una patinata vetrina con i manichini nudi. Se il riscatto sociale passa attraverso il concetto del ‘tutto lecito' come coraggioso atto di ribellione. Corona è un fenomeno mediatico autorizzato dal livore e dall'insoddisfazione generali, fomentato dal mutismo selettivo di una società che fatica sempre di più a farsi sentire, a farsi valere.

Se Corona è un eroe nazionale, in un periodo storico fatto di porti chiusi e bavagli, di escamotage e scorciatoie, è perché a un certo punto l'illecito ha preso il sopravvento come conditio sine qua non nella battaglia per la meritocrazia sociale. Va avanti chi è più furbo, avanza nella fila chi sceglie il sorpasso, vince chi porta a casa il risultato. Viviamo in un'epoca fatta di numeri e di classifiche, un enorme listing antropologico che se ne frega della comprensione e struttura la sua comunicazione come una gigantesca Babele.

Il seguire pedissequamente un modello, tracciandone il valore in base alla semantica dei suoi tatuaggi e alla sua incapacità di tacere, ha vinto sulla caratura del modello stesso. Perché parlare è diventato un atto eroico e chi lo fa, noncurante delle conseguenze, non può che diventare un Masaniello abbronzato e un po' sfacciato, che non accetta l'appellativo di ceffo e si beffa, puntualmente, di chi vuole dargli del coglione.

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Casertana di origine, napoletana di adozione. Laureata in Lingue e Letterature Straniere all'Università L'Orientale di Napoli, lavora a Fanpage.it dal 2010, anno in cui il giornale è nato. Caposervizio dell'area spettacolo.
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