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Opinioni

Il Collegio unisce giovani e adulti, perché la scuola è di tutti

La chiusura della quinta stagione del Collegio certifica il successo di un programma che non è un reality show dalla vita breve. I numeri e il riscontro di questa edizione confermano un pubblico in cui è sorprendentemente alta la quota di giovani, ma smontano anche la retorica di un programma che piace solo ai giovani. Il minimo comune denominatore del programma è la scuola e ognuno di noi, inevitabilmente, ha un ricordo legato alla scuola.
A cura di Andrea Parrella
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Il Collegio 5 si è concluso, il successo di ascolti indiscutibile, il riscontro mediatico altrettanto. Dopo cinque edizioni in crescendo, e dato l'interesse di una fascia di pubblico che sembra tenersi sempre più a debita distanza dalla televisione, possiamo dire in definitiva che quello di Rai2 è un caso.

Da tempo discutiamo del fenomeno televisivo che racconta le avventure di un gruppo di ragazzi teletrasportati in un collegio del passato e si fatica a trovare una risposta univoca sul valore di questo programma. L’idea è apparentemente banale, ce lo ha confermato in un'intervista la mente del programma, ma Il Collegio si è rivelato qualcosa di più di un semplice reality show dalla vita breve.

La vera peculiarità risiede proprio nella tipologia di pubblico, ma non è il pubblico a fare un programma. La trasmissione di Rai2 sembra aver conservato una certa purezza nel non voler dare ascolto a una sola fascia di pubblico, andando per la sua strada e scoprendo di avere un seguito che non è solo ed esclusivamente giovanile.

Se c’è chi sostiene che il segreto del docureality prodotto da Banijay sia quello di proporsi come un Grande Fratello in miniatura, una porta d’accesso al mondo dello spettacolo, il dato inconfutabile è che il programma obbliga gli spettatori a fare i conti con il proprio rapporto con la scuola.

Vale per i giovanissimi, ma anche per gli adulti. C'è una corposa componente di pubblico nostalgico che i banchi (o le cattedre) li ha abbandonati da tempo e che, guardando il programma si abbandona ai ricordi dolci di un tempo che non tornerà, oltre che a un pizzico di rammarico nel pensare a come sarebbe stato il proprio percorso di studi se sulla avesse trovato donne e uomini come i docenti e i sorveglianti del Collegio, vere e proprie icone di questa produzione televisiva. La forza di questo programma, al netto della ricerca spasmodica del meme e quell'inclinazione al trash quasi necessaria per una prima serata, è nel suo comune denominatore, l'esperienza che tutti abbiamo vissuto, alla quale si aggrappano, nel bene e nel male, ricordi e reminiscenze o esperienze che si stanno vivendo in questi anni.

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"L'avvenire è dei curiosi di professione", recitava la frase di un vecchio film che provo a ricordare ogni giorno. Scrivo di intrattenimento e televisione dal 2012, coltivando la speranza di riuscire a raccontare la realtà che vediamo attraverso uno schermo, di qualunque dimensione sia. Renzo Arbore è il mio profeta.
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