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Crolla “Il nome della Rosa”, racconto complesso che inizia troppo tardi per tenere alta l’attenzione

Enorme la forbice che si è aperta tra i numeri del primo e secondo episodio de “Il nome della rosa”. Tenuto conto di un calo fisiologico, la serie pone un chiaro problema di attenzione del pubblico. Narrazione complessa, ritmi molto diversi dagli abituali prodotti Rai e il sonno che incombe.
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A cura di Andrea Parrella
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Ogni anno, puntualmente, alla presentazione dei palinsesti delle reti generaliste, c'è l'usanza di dire che si proverà ad anticipare l'inizio delle programmazioni di prima serata. Citare l'incipit della Livella di Totò è un semplice espediente per parlare di una scena alla quale si assiste una volta l'anno, senza risultati. L'inizio della prima serata continua a scivolare sempre più verso le 22, con un effetto che può essere deleterio in alcune circostanze.

Citiamo, ad esempio, il caso de Il Nome della Rosa. La serie dal respiro internazionale di Rai1, uno dei prodotti sui quali l'azienda ha puntato maggiormente in questa stagione, ha registrato un brusco calo in termini di ascolti tra la prima e la seconda puntata. Lunedì 4 marzo si era partiti da 6.501.000 spettatori pari al 27.4% di share, mentre nella serata dell'11 marzo la prima rete del servizio pubblico si è dovuta accontentare di 4.727.000 spettatori pari al 19,86%. Non si può non tenere conto di un calo fisiologico, ma si tratta di una forbice enorme, che tra l'altro ricordo l'andamento de "I Medici", prima vera produzione internazionale Rai, dalle caratteristiche molto simili a quella che sta dietro alla trasposizione televisive del romanzo di Umberto Eco.

È assurdo credere che in questa emorragia di telespettatori possa esserci una percentuale consistente di persone che nella prima puntata non hanno retto a un racconto molto articolato trasmesso dalle 21,20? Il sottoscritto può citare il solo esempio a propria disposizione: mia madre, fedelissima telespettatrice Rai, per la quale i tasti del telecomando da contemplare non sono più di sette, è crollata in un sonno profondo a metà del primo episodio trasmesso il 4 marzo; non avendo letto il romanzo e avvertendo la narrazione complessa, caratterizzata da ritmi molto differenti rispetto agli abituali prodotti di Rai Fiction, nel corso della settimana non ha recuperato il primo episodio e così, ieri sera, prima dell'inizio della puntata, si diceva incerta rispetto all'idea di vedere il secondo episodio senza aver completato il primo. Poi si è decisa a scegliere ugualmente Rai1, per cui ho strategicamente atteso tre quarti d'ora prima di tornare in salotto e trovarla, puntualmente, già addormentata.

Il solo caso di mia madre, 62 anni, non può certamente essere un campione del tutto esaustivo, ma può avere di certo un valore indicativo. E se è vero che operazioni come "I Medici" e "Il nome della rosa" nascono soprattutto da un intento divulgativo, dall'intenzione di far conoscere al grande pubblico vicende storiche e opere letterarie di grande spessore, non sarebbe opportuno riservare a questi contenuti una collocazione diversa? È vero, quella sull'orario di inizio della prima serata può apparire come la più gentista e decontestualizzata delle polemiche, ma è un capitolo che viene inevitabilmente riaperto in casi come questo. E non è escluso che, mettendoci mano, si riuscirebbe a comprimere il crollo di ascolti che separa l'effetto dell'aspettativa per il debutto dalla sfiducia per il secondo episodio. Oltre a rendere più fruibili prodotti sui quali il servizio pubblico investe enormi risorse.

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"L'avvenire è dei curiosi di professione", recitava la frase di un vecchio film che provo a ricordare ogni giorno. Scrivo di intrattenimento e televisione dal 2012, coltivando la speranza di riuscire a raccontare la realtà che vediamo attraverso uno schermo, di qualunque dimensione sia. Renzo Arbore è il mio profeta.
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