Il ritorno di "Ciao Darwin" è una boccata d'aria. Lo è per quegli appassionati che sono cresciuti insieme a questo programma, con un'infanzia e un'adolescenza scandite da una sigla diventata una sorta di inno nazionale parallelo, dal tono di voce sostenuto di Bonolis e il suo linguaggio forbito, i siparietti con Laurenti e quell'infinita sequela di riti proverbiali incastonati nel firmamento cult della televisione italiana.
Un programma giunto all'ottava edizione e rimasto volutamente uguale a se stesso in quell'intento di raccontare i contrasti, le spaccature della cultura moderna, alla ricerca di quella sintesi tra alto e basso che era già stata ribadita nella serie di spot che avevano preceduto l'inizio della trasmissione.
Il ritorno di "Ciao Darwin" apre però un altro capitolo argomentativo, relativo alla fase che sta vivendo in questo momento Canale 5, la rete ammiraglia della principale azienda televisiva privata italiana. Perché è difficile descrivere il momento che la principale rete del Biscione sta passando in questo momento con parole diverse da quelle della stagione di crisi identitaria. Una difficoltà che si incarna in alcuni momenti di dimenticabile intrattenimento offerto dalla rete in queste ultime settimane, forse mesi. Le polemiche sul bullismo, le comunicazioni di presunti adulteri in diretta e in generale la percezione che, nella corsa a qualche punto di share in più, si sia spesso perso il senso della misura. Non c'è bisogno di fare i nomi, perché i nomi si conoscono già.
Ed è per questo che "Ciao Darwin", insieme ai titoli targati Maria De Filippi, detta discontinuità, rappresenta un'ancora di salvezza per Canale 5. Perché è il simbolo di una rete a due velocità, due facce, che non rinuncia alla sua vocazione popolare, ma che trova anzi nell'ultra pop spinto ma pensato la sua chiave, come Bonolis è sempre riuscito a fare con i prodotti televisivi migliori su cui ha messo la firma e la faccia.