Si deve cantare, si deve ridere, si deve riflettere, si deve discutere. Il problema di ogni Festival di Sanremo è che debba essere la summa di tutto quello che vorremmo vedere in tv durante l'anno. Siamo a corto di spunti, a corto di stimoli visivi, digiuni di un tipo di un intrattenimento che fatica a trovare il suo sfogo naturale. Si perde così di vista il concept della kermesse e si vira su tanto altro, che presupporrebbe la presenza di comicità, di satira (che della comicità è estensione, non mero contributo) e di improvvisazione, vera anima di qualsiasi evento televisivo che duri più di tre ore e non sia bloccato nelle dinamiche della scrittura.
Squadre di autori che, loro malgrado, si trovano costretti a miscelare ingredienti in nome dell'auditel e, così facendo, tendono a diventare i maestri di un'orchestra fissa sullo spartito. Il segreto di Festival di successo, come quello del 2018 o come il primo della coppia Fazio/Littizzetto o ancora come quello dell'angelo custode Chiambretti (sebbene in tempi in cui la tv la si guardava di più), è senza dubbio racchiuso nella capacità dei presentatori di andare oltre il loro ruolo istituzionale di ‘conduttori del Festival'.
L'esperimento vincente che ha puntato su attori, come Pierfrancesco Favino, ha consentito anche di scoprire come sfruttare la capacità interpretativa a vantaggio della necessità di uscire da un solo ruolo, per abbracciare l'imprevedibilità di tanti altri. Ci vogliono professionisti che vadano a braccio, che non siano dipendenti dal gobbo, che si sentano pubblico prima che protagonisti dello show. Degli outsider, che minino dall'interno la seriosità degli abiti che indossano, senza svilirla.
Si sapeva che il passaggio del testimone a Virginia Raffaele e Claudio Bisio sarebbe stato ostico, vista la straordinaria riuscita della coppia Favino/Hunziker, e non ha fatto altro che alimentare le aspettative su una coppia che porta con sé la ‘colpa' di non essere loro. Educati, asciutti, ben istruiti, una linea piatta su un encefalogramma lasciato in balia di forti emozioni. E in più, sono due comici e di risate se ne sono sentite davvero poche.
Fallimentare sul nascere, ma privo di grosse responsabilità. Così come la scelta dei cantanti: alla fila degli intramontabili Patty Pravo, Loredana Bertè, Nino D'Angelo, Daniele Silvestri, Renga, Nek, si è tentato di affiancare nomi 3.0 come Ghemon, Motta, Mahmood, Achille Lauro e la solita linfa talent delle quote Irama ed Einar. La fetta di giovani accontentata si va a scontrare con lo zoccolo duro degli over 50 che non sa nemmeno questi cantanti chi siano. L'asticella continua a oscillare vorticosamente tra due poli, tentando di non scontentare nessuno.
Da qui anche la carta ospiti, con Giorgia, Bocelli, Cocciante e Mengoni che, se bloccati a loro volta nei vari Come Saprei, Il mare calmo della sera, Margherita e L'essenziale, finiscono per essere solo un rimpasto di nostalgia rivolta al passato, che una boccata d'ossigeno nel presente. Per fortuna che il ‘buona la prima' non sia un diktat e che la partita non è finita finché non è finita. Resta ancora qualche giorno per sperare che la bellezza del brano di Simone Cristicchi non sia l'unico buon motivo per parlare di questo Festival dopo la sua fine.