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Opinioni

L’alibi di Alberto Angela e della cultura che vince contro Maria De Filippi

Viva Alberto Angela, la sua vittoria su “Amici” al sabato sera, viva la cultura in TV e il risveglio delle coscienze di un pubblico che si fa coccolare dalla convinzione di essere vessato dalla TV commerciale. La sfida vera, però, è dare continuità all’opera di Angela, far sì che non resti un evento, o un mero pretesto per esaltanti titoli sugli ascolti: spetta alla televisione, ma anche ai telespettatori.
A cura di Andrea Parrella
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Alberto Angela vince contro Maria De Filippi, la cultura in TV batte l'intrattenimento, "Ulisse" sovrasta "Amici". Il racconto del fine settimane televisivo appena trascorso è stato tutto nel nome di una rivincita del sapere, di un generale risveglio delle coscienze di telespettatori che avevano scelto di dire basta per sempre al mezzo di comunicazione che più di tutti si è guadagnato nei decenni la qualifica di dozzinale. Succede sempre così, a intervalli regolari arriva un'epifania televisiva che ci fa gridare all'esaltazione del vero Servizio Pubblico.

La Rai ha compreso perfettamente i meccanismi di questo ruolo da cavallo di Troia per l'approfondimento culturale nella TV generalista che Alberto Angela si è cucito addosso. Il personaggio è diventato una voce ecumenica, per certi versi omologo della sua "avversaria" Maria De Filippi nel campo della divulgazione culturale in TV: l'enorme popolarità di cui gode lo esenta da ogni critica possibile, anche e soprattutto perché simbolo di una reazione agli anni di medioevo televisivo da cui molti percepiscono di provenire. Giocare facile, verrebbe da dire, se i prodotti confezionati da Alberto Angela non fossero di una qualità indiscutibile.

Tuttavia l'entusiasmo sollevato dalla vittoria agli ascolti di Alberto Angela contro la De Filippi, riportata con i toni clamorosi di una risposta netta alla deriva della televisione commerciale, ha anche il suo lato oscuro. Perché appare come un alibi morale, fa passare l'idea di telespettatori e telespettatrici – o telespettatroci, in linea con lo storico neologismo involontario di Luca Giurato – vessati da una programmazione televisiva che non li rispecchia, senza alternative, vittime del sistema.

Le responsabilità dei telespettatori

Non è così, lo sappiamo tutti, si tratta dell'eterno dissidio insoluto se sia la TV a decidere quello che il pubblico deve vedere o se sia il pubblico a determinare ciò che va in onda. L'alternativa, nello sterminato universo dell'attuale offerta televisiva, c'è sempre. Ed è insensata la sterile ostilità ai mondi televisivi di Barbara d'Urso e Maria De Filippi, che esistono proprio perché qualcuno (molto più di qualcuno) li guarda. Non ci sono margini perché chiudano in virtù di un presunto vilipendio alla cultura e al sapere, manco sarebbe giusto se avvenisse. Una presa di coscienza, un'assunzione di responsabilità, deve venire prima di tutto dal pubblico.

Serve il coraggio della Rai

Il rovescio della medaglia della vittoria di Alberto Angela è che possa essere usata come un accomodante pretesto per un titolo sugli ascolti, che resti un caso isolato, cosa che svuoterebbe di senso il ruolo culturale di enorme rilievo che Angela si è caricato sulle spalle. Ben venga l'approfondimento culturale al sabato sera, ben venga l'approfondimento culturale sempre, sperando che il Servizio Pubblico trovi il coraggio di percorrere questo varco aperto dai titoli proposti da Angela, offrendo al pubblico una reale controproposta dopo anni in cui scimmiottare la concorrenza e tentare, con risultati più o meno riusciti, di risollevare le sorti del varietà sono stati la regola.

È possibile tutto questo? Serve una presa di coscienza in Rai, serve una presa di coscienza del pubblico.

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"L'avvenire è dei curiosi di professione", recitava la frase di un vecchio film che provo a ricordare ogni giorno. Scrivo di intrattenimento e televisione dal 2012, coltivando la speranza di riuscire a raccontare ciò che vediamo attraverso uno schermo, di qualunque dimensione sia. Renzo Arbore è il mio profeta.
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