Il commissario Ricciardi, Enrico Ianniello è il dott. Modo: “I fascisti sono ancora tra noi”
La quinta puntata de Il commissario Ricciardi vede il protagonista della fiction di Rai1 al centro di un'indagine per la morte di Vipera, la prostituta più famosa di Napoli, ritrovata morta, soffocata con un cuscino. La conosceva bene anche il dottor Bruno Modo, l'antifascista amico del commissario, interpretato da Enrico Ianniello. L'attore racconta l'evoluzione del suo personaggio a Fanpage.it: "Modo è un uomo che ama la vita e non giudica. Il suo essere antifascista è molto attuale e questo mi inquieta". Il suo personaggio è quello che si discosta maggiormente dai romanzi: "Una rilettura del regista D'Alatri, adesso tutti hanno imparato ad amare il mio dottore". E sulla serie: "Di nessun attore hai la sensazione che i personaggi siano distanti, sono tutti molto vicini". Scontato il rinnovo per una seconda stagione: "Io farei anche la terza e la quarta, i risultati sono così buoni che sarebbe un peccato non ritornare sul set".
Enrico, nella quinta puntata del commissario Ricciardi il dott. Modo finisce nei guai e con il caso di Vipera, il regime fascista trova finalmente il “modo” – perdona il gioco di parole – di mettergli le mani addosso.
Proprio così. E slegherei la questione “Vipera” dai guai di Modo. Lui è un uomo che ama la vita e proprio per questo suo amare la vita finisce nell’occhio del ciclone. Lui ama e non giudica. Uno dei più grandi punti a cui può ispirare il progresso umano, non giudicare gli altri. Per lui, ognuno può fare quello che vuole e le prostitute sono persone che regalano dolcezza, soprattutto in quegli anni. Purtroppo il regime non la pensa come lui, ma non è per questo che gli mettono le mani addosso. Gliele mettono perché è un antifascista convinto.
Quando parli del tuo personaggio, anche vedendo la tue interpretazione, si ha sempre la sensazione che tu ti sia divertito molto. Mi sbaglio?
Sì, mi sono divertito ma per una cosa inquietante.
Quale?
Il suo essere antifascista è un fatto attuale. Non dovrebbe esserci più bisogno di essere antifascisti. Per questo, Modo è un personaggio dei giorni nostri, ha dei punti morali da cui non vuole discernere e quindi non ha problemi di parlarne con il sorriso sulle labbra.
Quali sono gli altri aspetti che ami del tuo personaggio?
Il suo lavoro lo mette costantemente davanti alla morte e – anche nell’idea della trasposizione di Alessandro D’Alatri – invece di farne un tipo torvo, è un personaggio che attraverso il sorriso è come se dicesse a Ricciardi “i fantasmi li ho visti anche io, non ti preoccupare”. Per questo lo aiuta così tanto. Il mio personaggio, poi, è quello che si è più discostato dalla produzione di de Giovanni e sono felicissimo di aver letto commenti di chi si immaginava un Modo diverso, ma che adesso ha imparato ad amare e identificare il mio personaggio.
Ecco, a proposito della trasposizione che il regista ha fatto della saga, ti chiedo: dove finisce il Ricciardi di de Giovanni e dove comincia quello di D’Alatri?
Sono due forme totalmente diverse. Il romanzo è sostanzialmente un grilletto per l’immaginazione di chi legge, il cinema te lo fai nella tua testa per capirci. La televisione ha un linguaggio più composito. Ma la felice intuizione narrativa di Maurizio de Giovanni si è altrettanto felicemente sposata nella rilettura che ne ha dato Alessandro D’Alatri. E penso che per Maurizio sia stata complicato, non solo per Il commissario Ricciardi ma per qualsiasi altra trasposizione, lasciare andare la propria opera perché è un po’ come lasciare andare via un figlio.
Una sintonia felice tra scrittore e regista che ha portato a un grande successo di ascolti. Siete felici?
Siamo felicissimi perché chiedendo agli spettatori uno sforzo, siamo comunque stati ripagati. Le atmosfere sono più grigie, i tempi sono dilatati rispetto a una produzione più “standard”. L’altra sera la guardavo e dicevo: “che bravo è stato il regista”. Di nessun attore hai la sensazione che i personaggi siano distanti, sono invece molto vicini.
Lino Guanciale, Antonio Milo, Maria Vera Ratti, Irene Maiorino. Tutti gli attori che ho intervistato, hanno parlato di un grande clima familiare sul set dovuto al fatto che siete tutti attori di teatro. Confermi questa sensazione?
Non è solo una questione di familiarità, ma di grammatica del lavoro. Veniamo tutti dal teatro, sì, ma attenzione: non siamo gli attori di televisione che per sfizio fanno un po’ di teatro. Veniamo proprio tutti, come formazione e impegno professionale, dal teatro, e quindi abbiamo lo stesso modo di approcciare la scena. Come si prova, come si improvvisa, quanto si improvvisa. È come un gruppo che sa suonare la stessa musica. Poi ho un altro aneddoto che non si può non raccontare.
E qual è?
Faceva un caldo esagerato! Con quei vestiti anni ’30, i pantaloni fino all’ascella, i cappotti, i cappelli, è stata davvero dura non sudare anche la faccia.
Poco fa, quando parlavi di de Giovanni e della difficoltà di lasciare andare la propria opera, hai parlato proprio da scrittore. Sappiamo che sei al lavoro sul tuo nuovo romanzo. Puoi anticiparci qualcosa?
Sì, è un romanzo che ha a che fare con un avvenimento molto duro e doloroso per quelli della mia generazione. Parliamo dell’incidente di Vermicino, la storia di Alfredino Rampi. Uscirà il 10 giugno, nel quarantennale, per Feltrinelli.
Una seconda stagione per il commissario Ricciardi: possiamo darla per scontata?
Io, per me darei per scontata pure una terza e una quarta stagione. Credo di sì. Sono tutti così felici che sarebbe davvero un peccato non farlo.