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Dal dolore per Raffaella Carrà alla gioia per l’Italia campione, la Rai c’è stata

Due momenti distinti, ma affatto distanti, che per casualità si sono incrociati e hanno messo a dura prova la Rai, trovatasi a misurarsi con il racconto del lutto prima e dell’euforia poi, in una corsa a slalom tra pantani di retorica, mentre scorrevano le immagini di folle e assembramenti sulle quali tenere insieme l’entusiasmo e la preoccupazione.
A cura di Andrea Parrella
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Quella appena trascorsa è una settimana che l'Italia ricorderà per decenni, forse per sempre. Sette giorni di carica emotiva enorme, oscillata tra la morte di un'icona indimenticabile come Raffaella Carrà e la grande impresa sportiva della nazionale di Roberto Mancini. Due momenti distinti, ma affatto distanti, che per casualità si sono incrociati – e sommati se pensiamo a quanto accaduto alla vigilia di Italia-Spagna per Raffaella Carrà – scrivendo

Fuor di retorica, alla difficoltà di raccontare emozioni di massa come l'euforia e il lutto con un approccio istituzionale e al contempo sentito, si è aggiunta la condizione attuale di pandemia. Le immagini di folle in giro per le strade nel ricordo di Raffaella Carrà o, ancora più copiosamente, per le vittorie della nazionale, hanno reso il racconto di queste giornate un gioco di equilibri estremamente precario, a cavallo tra il rimarcare con partecipazione uno i primi momenti collettivi dopo le riaperture e l'invito alla responsabilità, l'indiretta manifestazione di un timore per il pericolo sempre dietro l'angolo. Uno slalom tra pantani di retorica rischiosissimo, che non rende semplice la strutturazione di una racconto.

La Rai è depositaria della storia artistica di Raffaella Carrà e non è mancata al compito di onorare una figura così significativa per la storia di questo Paese, si trattasse delle celebrazioni in diretta, così come dell'utilizzo degli archivi. In modo ugualmente accorato il servizio pubblico ha raccontato la cavalcata della nazionale, non senza sbavature e imprevisti. Ne sono indice lo sfortunato caso del telecronista Alberto Rimedio e il commentatore Angelo Di Gennaro sostituiti in finale perché colpiti dal Covid, ma anche l'indugio sull'aggressione dei tifosi inglesi a quelli italiani dopo la finale, che si è poi rivelata una ricostruzione fumosa.

Ore di diretta fiume, palinsesti stravolti e cambi di scaletta, che per sette giorni hanno messo alla prova un servizio pubblico che potrà dire "quella volta io c'ero", a dispetto delle disquisizioni stilistiche e le critiche alle quali la Rai è fisiologicamente esposta.

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"L'avvenire è dei curiosi di professione", recitava la frase di un vecchio film che provo a ricordare ogni giorno. Scrivo di intrattenimento e televisione dal 2012, coltivando la speranza di riuscire a raccontare ciò che vediamo attraverso uno schermo, di qualunque dimensione sia. Renzo Arbore è il mio profeta.  
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