Il 26 marzo del 2018 resta un giorno drammatico e indimenticabile per molti italiani. Non per la data in sé ma per quanto accadde con la morte di Fabrizio Frizzi. Questa la notizia di apertura di tutti i Tg, dei siti,, giornali, trasmissioni televisive, post sui social.
Un lutto che ha scoperchiato un immenso affetto per il conduttore, in parte inespresso fino a quel momento, come si trattasse di un'ammissione di colpa per non avergliene dimostrato abbastanza in vita. Va riconosciuto che una parte di noi ha dato Fabrizio Frizzi per scontato fino al giorno di quella morte prematura, dovuta a un'emorragia cerebrale culmine di una lunga malattia. Solo così si può spiegare quella commozione collettiva di proporzioni rare che non è emersa con la stessa forza per altri personaggi pubblici rappresentanti dello spettacolo e della cultura. E non perché contassero meno di Frizzi.
Non può essere la morte a determinare la grandezza e il valore di una persona, ma se c'è una cosa indiscutibile è che un addio racconta tanto soprattutto di chi resta. Il dolore collettivo generato dalla scomparsa del conduttore di Rai1 ci ha detto molto dell'attaccamento alle cose semplici, quotidiane, modeste, distanti da ogni forma di pretenziosità.
Questo rappresentava Frizzi che, andandosene, ha svelato la fallacia di ogni pregiudizio nei confronti della televisione generalista, ha smontato ogni risatina sotto i baffi (nemmeno troppo sotto) che sorgerebbe sul viso di molte persone a sentir parlare dei programmi quotidiani di Rai1. La morte di Frizzi ha attivato automaticamente, in molti di noi, un ricordo o una reminiscenza. Sono cose che accadono quando ci lasciano i parenti, le persone a noi più vicine, quelle a cui volevamo bene senza accorgercene.
In ricordo di Frizzi c'è un bel documentario su RaiPlay, episodio della serie Ossi di Seppia, in cui le immagini di quei giorni di dolore, miste al ricordo nella viva voce di Carlo Conti, storico amico del conduttore, riescono a restituire una parte del fenomeno verificatosi in quei giorni. Un fenomeno di cui molti, in quei giorni, si sorpresero, che sinteticamente e con una certa approssimazione potremmo definire lutto, ma che è stato qualcosa di più.