Tra il successo e il baratro del flop, sintesi del “The Voice” di Simona Ventura
Il ritorno di Simona Ventura in Rai, quello di Morgan in una giuria di un talent, la prima esperienza di Gigi D'Alessio come giudice, le new entry incognite di Elettra Lamborghini e Guè Pequeno. Diversi gli elementi che avevano contribuito ad accrescere un certo grado di aspettativa per il ritorno di "The Voice" su Rai2. Terminata la finale con la vittoria di Carmen Pierri, la domanda è: ha funzionato?
Una risposta univoca non esiste. Sia perché è impossibile misurare il successo dei programmi sulla base di un unico parametro, ad esempio quello degli ascolti, sia perché il programma ha alternato momenti interessanti ad altri dimenticabili.
Diciamolo subito: la ricetta era quella giusta. L'intenzione di Carlo Freccero, il direttore di Rai2, era di riprendere un format che pareva destinato a rimanere in soffitta, affidandolo a un volto forte della televisione, desiderosa di riscatto dopo anni di lontananza dalla Rai, ‘riabilitata' dalla recente esperienza a Mediaset alla corte di Maria De Filippi. La Rai ha scommesso su questa miscela, investendo molto in termini di promozione, con l'intento di mettere insieme il pubblico tradizionalista con quello più giovane.
Gli ascolti di The Voice
L'operazione è riuscita a metà, perché se è vero che la Rai non ha mai mancato di sottolineare l'interessamento delle fasce dagli 11 ai 14 anni e dai 15 ai 19, i numeri assoluti raccontano di un programma che ha sofferto di una aritmia degli ascolti importante, con le prime puntate delle Blind Audition (partenza con l'11,15% di share)che hanno resistito ad un'erosione di pubblico poi dilagata con la prima semifinale, che penalizzata anche dal cambio di giorno è scesa al 9.7% di share.
Stando ad una valutazione meramente algebrica, "The Voice" non sembra aver portato a Rai2 ciò che la rete si aspettava, soprattutto in considerazione del battage pubblicitario feroce nei mesi che hanno preceduto la partenza e del confronto con le edizioni precedenti.
I coach: D'Alessio la sorpresa, Guè non pervenuto
Che dire della giuria? Il ritorno di Morgan, puro animale da talent show, era una base fondamentale dalla quale partire. A dispetto di quanto fatto in passato, Castoldi ha avuto più peso nell'essere un fluidificante tra i giudici, quindi un elemento facilitatore per la creazione di situazioni e siparietti vitali per questo genere di programmi, che per i risultati musicali portati sul palco. A dispetto del passato Morgan non ha inciso sul meccanismo di The Voice come aveva fatto con X Factor, cucendosi addosso il programma.
La vera sorpresa è stata Gigi D'Alessio. In un programma che ha puntato sulla commistione di elementi opposti, con l'obiettivo di strizzare l'occhio ad una forma colta di trash (qui torna l'obiettivo del pubblico più giovane, ma anche delle fasce culturalmente più elevate), il cantante napoletano si è ritrovato in una situazione di agio totale. In questo ecosistema è decaduto il pregiudizio originale nei suoi confronti – parole chiave "neomelodico" e "matrimoni" – e D'Alessio ha trovato il suo habitat naturale. L'apice di questa parabola è stata indubbiamente l'apertura della seconda serata, quando Gigi D'Alessio si è misurato con "Feel Good Inc" dei Gorillaz, dando vita al vero momento di questa edizione di "The Voice" destinato a rimanere nella memoria collettiva. Senza contare che è lui ad aggiudicarsi il premio di vincitore del popolo nell'unico, vero diverbio tra i coach in questa edizione.
Elettra Lamborghini era partita benissimo e le prime Blind avevano fatto emergere tratti inaspettati del suo carattere, una certa spontaneità e un'inattesa capacità di sapersi adattare al contesto. Poi il personaggio ha seguito una curva calante, fino ad eclissarsi nella parte live, quando sei tu a decidere se diventare un meme, non il montaggio.
Prossimo al non essere pervenuto Guè Pequeno, proabibilmente inibito dalla necessità di stare in equilibrio tra la sua indole politicamente scorretta e l'aplomb minimo imposto dal servizio pubblico.
Una Simona Ventura a metà
E Simona Ventura, indiscutibilmente tra le migliori conduttrice del nostro panorama televisivo, ha superato la sfida della conduzione di un talent? La fase delle Blind Audition, agevolata dal montaggio – nota indiscutibilmente positiva di questa edizione – ha restituito ai telespettatori un'immagine della Ventura energica, volutamente al di sopra delle righe e in armonia col contesto. La ricerca del tormentone, quella tendenza ad alzare il tono di voce talvolta immotivata, hanno penalizzato anche lei nella fase dei live, quando le fisiologiche difficoltà produttive sono venute al pettine. La quantità esigua di puntate in diretta, schiacciata dalla fase delle audizioni al buio, non concede alla conduttrice i tempi necessari per un rodaggio completo. Forse per questo è lei stessa a dare appuntamento al prossimo anno al termine della finale.
The Voice e la sindrome del "figlio di" X Factor
Se "The Voice of Italy" abbia funzionato oppure no è domanda affrontabile anche rispondendo a un'altra domanda: il talent di Rai2 è riuscito a scrollarsi di dosso il paragone eterno con X Factor? Il no di risposta è immediato, ma la colpa non può essere attribuita agli attori che hanno dato vita a questa edizione. Lo scarto che passa tra i due programmi dal punto di vista della forza produttiva è ancora enorme. La qualità del prodotto Sky – non a caso ritenuto uno dei migliori al mondo – raggiunge di anno in anno livelli sempre più alti, per qualità degli artisti ma anche per messa in scena, coreografie, scelte estetiche. D'altronde Freccero si era affidato alla stessa produzione di "X Factor", Fremantle, prima che l'accordo saltasse sul no della Rai a Sfera Ebbasta (e di quale programma sarà giudice Sfera Ebbasta l'anno prossimo?).
Ma la questione va oltre i mezzi e gli strumenti a disposizione. Il divario tra The Voice e X Factor è di carattere storico, in Italia più che altrove quello di Rai2 è un talent show che soffrirà sempre della sindrome del "figlio di", consapevoli del pregiudizio che pesa sui figli di qualcuno. Il risultato continua ad essere quel provincialismo di fondo che sottende la resa scenica di The Voice, la sensazione perenne che il programma tenda ad un riferimento che è destinato a non poter raggiungere. E dopo cinque edizioni è lecito chiedersi se questo neo potrà mai sparire.
Carmen Pierri, vicitrice assente
Posti questi fattori, il bilancio di chiusura di "The Voice" è in sostanziale pareggio se lo si vuole guardare con un approccio fiducioso, non troppo fiscale. Certo, sarebbe andata molto meglio senza un finale oggettivamente straniante in cui Gigi D'Alessio viene premiato da Simona Ventura come vicario di Carmen Pierri che, minorenne, non è potuta comparire in video dopo la mezzanotte. La prima a non prenderla bene, se si guarda l'immagine di questo articolo, è stata la conduttrice.