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Strappare lungo i bordi, la serie di Zerocalcare è la nostra BoJack Horseman

Da Rebibbia a Hollywoo(d), dall’armadillo a Todd, Zerocalcare sta facendo in Italia ciò che BoJack ha fatto negli anni scorsi su scala globale: essere molto più di una semplice serie animata.
A cura di Andrea Parrella
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Pare non si parli d'altro che di Strappare lungo i bordi, la prima serie Tv di Zerocalcare. A margine di un periodo in cui Netflix ha dato l'impressione di preoccuparsi più del consolidamento della propria egemonia che della difesa dei principi per cui l'ha conquistata negli anni, è arrivato sulla piattaforma uno di quei prodotti che in pochi giorni è stato in grado di gonfiare una grande bolla, nella quale convivono gli elogi trasversali, la Turchia che si scandalizza per le bandiere curde e un dibattito di stampo linguistico sull'uso massiccio del dialetto romano nella serie. Aspetto, quest'ultimo, che si disinnesca da solo se consideriamo quanto le serie Tv, e in parte anche i film, ci abbiano educati negli ultimi anni ad apprezzare le specificità linguistiche e dialettali come tratti distintivi della qualità di scrittura, in contrapposizione a forme di italiano regionale spersonalizzanti che spesso contraddistinguono alcuni prodotti della Tv generalista.

Zerocalcare e BoJack, similitudini forzate

Pare non si parli d'altro, si diceva in apertura, dove il "pare" è parte fondamentale della frase, perché Strappare lungo i bordi non è certamente uno Squid Game ed è giusto precisarlo, per quanto se ne parli molto. A sforzarsi nel cercare un termine di paragone nella galassia Netflix, perché in fondo i paragoni servono a catalogare le cose, l'opera di Zerocalcare si può accostare a Bojack Horseman, serie del 2014 che con le sue sei stagioni ha segnato la storia di Netflix in modo inequivocabile.

Mondi diversi, galassie lontane, Hollywoo(d) e Rebibbia, l'armadillo e Todd Chavez, che cos'hanno in comune Zerocalcare e BoJack? Con uno sforzo di fantasia possiamo vedere due personaggi in fondo simili, come il filo rosso che lega il flusso di coscienza dilagante di Zerocalcare che finisce per dare voce a tutti i personaggi di Strappare lungo i bordi, al modo in cui BoJack trasforma spesso le conversazioni con altri personaggi in veri e propri monologhi. O ancora per quell'inquietudine di fondo che alberga nell'animo di entrambi, l'incapacità di trovare un posto preciso nel mondo, la ricerca disperata nei meandri di un linguaggio forbito e complesso delle parole semplici necessarie per esternare agli altri i propri sentimenti.

Non semplici serie animate

Oltre una assimilabile coerenza stilistica e narrativa, Strappare lungo i bordi e BoJack Horseman sono legate principalmente da un aspetto: trascendono la loro natura di serie animate. Non basta difendere la dignità intellettuale e artistica dei prodotti di animazione per scardinare un pregiudizio che viene da lontano, l'associazione del cartone animato all'idea di frivolezza. Perché ciò accada servono titoli come questi. Oggi in Italia, e forse non solo in Italia, la serie di Michele Rech/Zerocalcare, forte anche del dibattito generato, si impone come un prodotto che porta l'animazione a un livello superiore, in cui anche chi è meno educato a questo tipo di visioni può riconoscere una elevatezza di scrittura.

La funzione culturale di Netflix

È la stessa impresa in cui riuscì, diversi anni fa, la serie creata da Raphael Bob-Waksberg e disegnata da Lisa Hanawalt. BoJack Horseman rese possibile l'idea di guardare un "cartone" come fosse una serie e sorprendersi delle possibilità infinite cui l'animazione dava accesso (l'episodio muto Un pesce fuor d'acqua/Under the sea ne è l'esempio massimo). È grazie a prodotti come questi che Netflix ha risposto e risponde alla sua funzione culturale, che è poi la sua specificità, nonché il principale asset del suo valore di mercato: cambiare i gusti, affinare le abitudini di fruizione, normalizzare la visione di ciò che prima era per pochi, radunare le nicchie e creare il pubblico generalista del futuro.

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"L'avvenire è dei curiosi di professione", recitava la frase di un vecchio film che provo a ricordare ogni giorno. Scrivo di intrattenimento e televisione dal 2012, coltivando la speranza di riuscire a raccontare ciò che vediamo attraverso uno schermo, di qualunque dimensione sia. Renzo Arbore è il mio profeta.
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