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Pupetta, il conato e la vergogna

Poche parole sull’estetica sulla fiction con Manuela Arcuri. Qualcuna in più sul disgusto per chi l’ha pensato, approvato e finanziato, tutti consapevoli che del prodotto complessivo non si potesse dire altro che questo.
A cura di Andrea Parrella
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A chi, in un venerdì di inizio giugno, dovesse venire in mente di credere sia meritorio un giudizio estetico sulla fiction andata in onda ieri sera, "Pupetta qualcosa", con protagonista Manuela qualcosa, in prima visione su Canale qualcosa, verrebbe voglia di rispondere che sparare sulla croce rossa, consapevolmente, è un gesto vile. A chi il giudizio se lo aspetta sul serio, si dirà sinteticamente che quella cosa obbrobriosa che era L'Onore e il Rispetto, a confronto è Il Padrino. I "minchia" a profusione della serie con Garko diventano "sfaccimma" a buon rendere e il tutto assume una configurazione paradossale quando si scopre della presenza, nel cast, di un esponente della famiglia De Filippo.

Senza voler scivolare nella volgare esternazione del disgusto, ce la prenderemo con coloro i quali questa cosa l'hanno pensata, approvata, finanziata (chiunque essi siano). Le contestazioni provenienti dall'antimafia non sono una mera espressione di maniera, insomma quelle cose "che si devono dire". La fiction di ieri sera, della quale ci meriteremo altre tre puntate, è un oltraggio in piena regola alla sofferenza di chi ne ha ingiustamente patita e agli spettatori stessi. E questo, si aggiunge per esattezza, non perché la trama racconti le vicende di una donna che nella sua vita non è stata irreprensibile (una criminale, ndr), ma perché nel corso della prima puntata, chi non avesse seguito la polemica, chi per semplice abitudine tiene accesa la tv sul quinto canale, ha assistito ad una descrizione leggera e superficiale, una storiella di una ragazza con difficoltà familiari che affronta con coraggio e animo anticonvenzionale le leggi non scritte del suo tempo. Ecco la viltà, del tutto palese nel titolo "Pupetta, il coraggio e la passione", che si trasforma agilmente in "Pupetta, il conato e la vergogna".

State attenti! Attenti perché se la cultura dominante ha già commesso l'immenso peccato di trarre, dalle ambientazioni della malavita, delle immagini positive grazie alle magistrali trasposizioni cinematografiche americane e le colossali interpretazioni degli attori hollywoodiani, qui l'errore che si commette è doppio: non si raccontano le contraddizioni interne, l'arrivismo e le turbe psicanalitiche del ganzo mafioso di turno, ma si normalizza l'ambiente criminale, ci si calano dentro le stesse storielle, inciuci e dinamiche umane e sentimentali che fino al giorno prima sono state raccontate con Centovetrine, I Cesaroni, o qualunque cosa d'ogni altra sorta. In due parole, Manuela Arcuri si innamora, nelle vesti di Pupetta, al pari di come si sarebbe innamorata in Carabinieri. Questo non dovrebbe far riflettere solo sullo spessore della sua recitazione e sul fatto che non lavorasse da parecchio (per motivi più che validi), ma anche sul fatto che ci sia qualcosa che non va. Detto tra noi,  è bene che chi c'è alle spalle del prodotto complessivo sappia che oggi, a fronte dello spettacolo cui si è assistito, non si sarebbe potuto dire altro che quanto si è detto.

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