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Opinioni

Maid racconta una violenza che non si vede, ma c’è e bisogna combatterla

Maid, la serie Netflix con Margaret Qualley, è il racconto di una donna che si serve solo della sua forza per vincere l’umiliazione, la paura e le conseguenze di una continuata violenza psicologica. Perché non tutte le ferite sono visibili ad occhio nudo e non significa che facciano meno male.
A cura di Ilaria Costabile
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Guardare Maid, la serie Netflix prodotta da Margot Robbie, con protagonista una giovane e bravissima Margaret Qualley è come essere sopraffatti da un urlo improvviso che squarcia il silenzio, un urlo prolungato, dolente e carico di parole non dette che esplode in un momento di quiete. Quella raccontata nelle dieci puntate che compongono la serie è la storia di Alex, una ragazza di 25 anni, madre di una bambina di due, Maddy, che decide di prendere in mano la sua vita, fino a quel momento vissuta in un torpore sordo e cieco che non le permetteva di reagire dinanzi alle violenze che, costantemente, era costretta a sopportare. Magari inconsapevolmente.

Alex ha un compagno, Sean, un ragazzo dai grandi sogni, affogati nell’alcol e distrutti nei mille pezzi dei piatti che è solito lanciare in aria o contro la sua fidanzata nei momenti di rabbia. Ha una madre (Andie MacDowell), completamente instabile, a tratti egoista, affetta da una presunta forma di bipolarismo e sulla quale non può fare affidamento. Ha un padre, ex alcolista che si è rifatto una vita lontano da quella che era la sua famiglia originaria, ripulendo così un passato che porta gli strascichi di una violenza frustrata. Ma soprattutto Alex ha una figlia, troppo piccola per capire fino in fondo, ma abbastanza grande per ricordare quanto disfunzionale fosse la sua famiglia, ed è per lei, per l’amore che prova nei suoi confronti che decide nel cuore della notte di alzarsi dal letto e scappare da una realtà che non poteva più tollerare.

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La serie è uno dei prodotti più interessanti arrivati finora su Netflix. Un racconto vero, tratto dal libro di Stephanie LandDomestica. Lavoro duro, paga bassa, e la voglia di sopravvivere di una madre”, che mette in luce le falle di un sistema assistenziale, come quello americano, in cui vige il paradosso che per dimostrare di aver bisogno di aiuto devi avere almeno un lavoro e se non hai nemmeno quello devi trovarlo, altrimenti non hai vie di scampo. Ed è così che Alex, 25enne con veilleità da scrittrice, finisce per diventare una donna delle pulizie, finisce col vivere nelle case di altri, in attesa di avere un tetto sotto cui far dormire sua figlia.

La storia di Alex è una storia che migliaia e migliaia di donne vivono ogni giorno, ma per la prima volta in Maid si abbandona quel buonismo fictionato delle serie televisive, per cui ogni cosa nonostante le difficoltà torna al suo posto e si racconta l’umiliazione, la povertà, la disperazione, con una crudezza quasi documentaristica che, però, getta negli occhi di chi guarda una realtà che fa male accettare.

Alex è una madre, ed è stata solo questo per gli ultimi due anni della sua vita. Nonostante abbia vinto una borsa di studio non è potuta andare all’Università, nonostante in passato avesse trovato nella scrittura un briciolo di conforto e di identità, sopraffatta dalle mille preoccupazioni e incombenze del suo status, non è riuscita più a coltivarla. Sebbene abbia un compagno, l’uomo che le sta accanto è riuscito a manipolarla al punto da gestire anche i suoi risparmi, è riuscito a farle accettare uno stile di vita disordinato e dissennato che, forse, non avrebbe mai voluto. Vittima dei suoi vizi, dei suoi scatti di ira, di una dipendenza che non può essere giustificata se si tramuta in una violenza immotivata e dalla quale, il più delle volte, ci si trova imbrigliate senza sapere come venirne fuori.

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In Maid si tratteggia perfettamente il senso di impotenza di una donna che non ha altro che se stessa e la propria forza nel prendere la decisione di cambiare vita, nel farsi coraggio chiedendo aiuto, nonostante quell’aiuto senta di non meritarlo, perché sul suo corpo non ci sono i segni di una violenza perpetrata nel tempo: ma le cicatrici esistono, solo che non si vedono, sono emotive, psicologiche. Alex è la prima a delegittimare la gravità di quello che ha subito, è la prima a chiedersi se non sia disonesta nel provare a ricostruirsi una vita lontana dai soprusi accumulati negli anni, è la prima a chiedersi se quello che ha vissuto, in fondo, non potesse essere sopportato e se non fosse lei troppo schizzinosa a lamentarsene.

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La violenza psicologica appare nelle allucinazioni di Alex, nei ricordi di un’infanzia confusa, trascorsa a seguire una madre in cerca di se stessa da una parte all’altra del Paese. I dolori riaffiorano nel contare gli spiccioli che si vedono diminuire ad ogni acquisto, e noi che guardiamo sprofondati nel divano di casa siamo presi da una morsa di dolore e fastidio, perché spinti da un desiderio di rivalsa che sentiamo appartenerci. Le ansie e le paure riemergono nella crudeltà di un sistema che non fa sconti a nessuno, che chiede e pretende senza mai dare nulla in cambio. La domanda, quindi, sorge spontanea: come può una donna che ha bisogno di aiuto chiederlo, consapevole di doverselo guadagnare? Come può non pensare di tornare indietro, facendosi bastare quel nulla che aveva tra le mani? Eppure sono tante le donne che si voltano dall’altra parte e si lasciano convincere dal fatto di non essere vittime, ma di essere parte del problema, e questo accade molto più spesso di quanto possiamo mai immaginare.

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Maid va vista per questo motivo: per ricordarci che esiste un dolore silente, un dolore che è difficile da spiegare, ma c'è e va lenito, va curato, alleviato. Una serie televisiva che racconta, nel dettaglio, quanta fatica si nasconde nell'affermare se stessi quando la realtà fa di tutto per impedirtelo. Una serie che ha dato voce a tutte quelle donne che si armano del loro coraggio per andare avanti, senza cedere alle lusinghe delle vie più semplici, ma rimboccandosi le maniche e spazzando via quella patina di disprezzo e incomprensione che si annida nella mente di chi non riesce ad andare oltre a quello che si vede da fuori, quando in realtà è tutto ciò che c'è dentro ad ogni individuo a dover essere guardato con la giusta attenzione.

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Nata nel 1992, giornalista dal 2016. Ho sempre scritto di cultura e spettacolo spaziando dal teatro al cinema, alla televisione. Lavoro nell’area Spettacolo di Fanpage.it dal 2019.
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