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Leosini: “Caso Scazzi non era da ergastolo. Fossero state loro, sarebbe stato delitto d’impeto”

Dopo l’intervista a Sabrina Misseri e Cosima Serrano a Storie Maledette, Franca Leosini rivela si schiera inaspettatamente rispetto alle condanne comminate alle due donne per l’omicidio della piccola Sarah Scazzi: “Quale che sia la verità, sono profondamente convinta che non era un crimine da ergastolo”.
A cura di Stefania Rocco
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Facendo sfoggio della riconosciuta ricercatezza lessicale e dell’abilità, tutta “leosiniana”, di trattare con elegante e lucido distacco i casi di cronaca che hanno sconvolto l’Italia, Franca Leosini prende una posizione rispetto alle condanne già definitive comminate a Sabrina Misseri e Cosima Serrano a conclusione del processo istituito per l’omicidio della piccola Sarah Scazzi. La conduttrice di Storie Maledette, che ha raccontato proprio il caso di Avetrana nel corso delle due puntate di esordio della nuova stagione del suo programma, ha rilasciato un’intervista a Circo Massimo, su Radio Capital, all’interno della quale si è esposta nettamente e in larga parte a favore della Misseri e della madre Cosima. Troppo dure le pene previste nel loro caso, sostiene, soprattutto se prese in esame in contrapposizione ad altre sentenze disposte nel giudizio di casi simili:

Quale che sia la verità, sono profondamente convinta che non era un crimine da ergastolo. Quello che ho imparato nei 24 anni di Storie Maledette è la dicotomia sgomentevole nella valutazione dei reati da parte della magistratura: a parità di crimini o di reato o di ipotesi di un crimine, vedi dare 18 anni a una persona per un duplice omicidio, e magari l'ergastolo a due persone che, quand'anche fossero state loro, comunque sarebbe stato un delitto d'impeto, che non prevede l'ergastolo nel codice penale.

Il successo del format, tristemente proporzionale alla durata

Autore unico di un format che è diventato un cult per la televisione italiana, con milioni di appassionati, la Leosini spiega perché un programma tanto amato – ottimi i risultati di ascolto delle prime due puntate – debba essere necessariamente così breve: “Quando lavoro, quando costruisco una storia, penso solo a farla al meglio possibile. Poi sono sempre molto scaramantica, quindi sinceramente non proietto le mie energie all'idea del risultato, ma all'idea di fare un prodotto onesto. Sono autore unico della trasmissione, e di una vicenda devo conoscere tutto. Lo faccio non solo per dovere ma anche perché il senso di una storia tante volte si nasconde nei dettagli, anche in quelli di un verbale che può sembrare ininfluente. Purtroppo non riesco a delegare. Logicamente questo crea problemi, visto che in ogni serie faccio poche puntate con grande disperazione dei miei direttori, ma qualità e quantità non vanno d'accordo, io faccio una narrazione”.

L’analisi sui frequenti casi di femminicidio

Benché detesti il termine (“le donne sono persone, non femmine”), la Leosini ha un’idea precisa del motivi per il quale, soprattutto di recente, i cosiddetti casi di femminicidio abbiano visto crescere rovinosamente il numero di morti o aggressioni. Semplicemente, oggi se ne parlerebbe di più rispetto al passato, con la donna finalmente uscita da una condizione di sottomissione anche economica che, anni fa, rendeva sicuramente più difficile denunciare:

Ci sono sempre stati ma se ne parla di più, c'è maggiore informazione. Il moltiplicarsi di questo tipo di delitti è dato anche dal fatto che la donna ha una sua autonomia. Prima", spiega, "la donna era costretta a subire violenze e tradimenti per il ricatto economico, mentre adesso perlopiù lavora, e infatti ci sono più delitti al nord, dove c'è più lavoro, dove la donna è più indipendente e ha più possibilità di scegliere per il destino della coppia. Lo Stato fa poco, ma bisognerebbe avere un carabiniere per ogni donna che denuncia. Le forze dell'ordine saranno sempre inadeguate in termini numerici. Il problema si pone cercando di educare l'uomo ad accettare l'indipendenza della donna, e a rispettarla, cominciando dalle scuole e dalle famiglie. Sarà un discorso trito, ma è da lì che bisogna cominciare.

La replica alle parole di Roberta Bruzzone

All’indomani del giudizio espresso dalla criminologa Roberta Bruzzone a proposito della ricostruzione del caso di Avetrana, la Leosini conclude: “Non entro sulle scelte lessicali né su quelle di appartenenza ai vari programmi della dottoressa Bruzzone. Ognuno ha il suo lessico. Io sono napoletana, e un narratore napoletano ha nel DNA degli squarci di ironia che chi è nato al nord potrebbe non avere”.

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