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Opinioni

La serie Tv sui Beatles è eccezionale come una nuova scoperta a Pompei, ma se ne parla poco

“The Beatles: Get Back” su Disney + è un’operazione di archeologia musicale incredibile che non sta avendo il giusto risalto. Ascoltare Let it be mentre da bozza diventa canzone è un’esperienza senza precedenti.
A cura di Andrea Parrella
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La magia delle leggende tramandate per via orale è quella propria dell'aneddotica, storie che passano di mano in mano, sfumate da testimonianze più o meno credibili, gonfiate e poi ridimensionate. Ecco, prendiamo una delle vicende più chiacchierate della storia della musica leggera, quella dell'ultima esibizione dei Beatles prima dello scioglimento e immaginiamo che questa cosa prenda vita in video, diventando una serie TV. Nulla di assurdo e insolito, si penserà, dato che se il mondo dell'intrattenimento fosse in equilibrio precario ci penserebbero i biopic a tenerlo in piedi. Ma qui la questione è molto diversa.

"The Beatles: Get Back", la serie Tv disponibile su Disney + diretta da Peter Jackson è una gemma assoluta per la straordinarietà del materiale che mostra. Tre puntate da due ore e passa che sintetizzano le oltre 60 di girato che riprendono i giorni precedenti al rootfop concert, l'ultima esibizione dal vivo dei fab four sul tetto della Apple di Londra in Savile Row.

Un materiale conservato per oltre 50 anni

La cosa assolutamente incredibile, per chiunque abbia solo lontanamente subodorato la mitologia dei Beatles (e chi con più di 20 anni sulle spalle oggi non l'ha quantomeno sfiorata?) è il tempo di conservazione e gestazione prima che questo materiale del 1969 divenisse patrimonio dell'umanità. Oltre 50 anni, più di mezzo secolo in cantina per delle immagini equiparabili alla scoperta di una nuova stanza della Pompei sepolta dall'eruzione del Vesuvio.

Il momento in cui George Harrison minaccia di lasciare i Beatles
Il momento in cui George Harrison minaccia di lasciare i Beatles

Vedere in video, come accadessero davanti ai nostri occhi in alta risoluzione, i dissensi tra Paul McCartney, John Lennon e George Harrison di cui si era solo narrato e scritto, è come essere presenti mentre Giulio Cesare pronuncia la frase dopo aver oltrepassato il Rubicone o il quoque tu rivolto a Bruto dopo essere stato accoltellato. Ascoltare i Beatles che provano e discutono mentre Yoko Ono lavora silenziosamente a maglia equivale ad assistere in prima persona a un discorso di Napoleone prima della disfatta di Waterloo.

Le prove dei Beatles da cui nascono Let it be e Get back

Ma non è tutto, Get Back raggiunge l'apice della sua eccezionalità quando regala allo spettatore, in presa diretta, il concepimento di Let it be e Get Back. Forse non è chiaro: si assiste a due semplici bozze di canzoni, due idee accennate al piano e al basso con parole farfugliate, che prendono vita piano piano senza sapere che diventeranno Get Back e Let it be, due canzoni che poche persone potrebbero dire di non aver ascoltato almeno una volta nella vita. Come dire "inquadriamo Beethoven nel momento in cui viene folgorato dall'ispirazione per comporre la Nona".

John Lennon scherza durante le registrazioni
John Lennon scherza durante le registrazioni

Perché non se ne parla abbastanza?

Un'operazione di archeologia musicale che ha una portata enorme e che non sta ricevendo l'attenzione che meriterebbe. In parte perché sembra giungere fuori tempo massimo rispetto all'era di definitiva santificazione dei Beatles coincisa con l'inizio degli anni Duemila. Secondariamente, ma non in ordine di importanza, perché il traffico dei trend sull'autostrada delle piattaforme streaming è intenso, non lascia molte vie di fuga e rischia di oscurare persino i Beatles.

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"L'avvenire è dei curiosi di professione", recitava la frase di un vecchio film che provo a ricordare ogni giorno. Scrivo di intrattenimento e televisione dal 2012, coltivando la speranza di riuscire a raccontare la realtà che vediamo attraverso uno schermo, di qualunque dimensione sia. Renzo Arbore è il mio profeta.
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