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La banda della Uno Bianca, riscoprire la storia nascosta sotto i nostri occhi

Una docuserie diretta da Claudio Pisano per History Channel ripercorre la serie di rapine e omicidi che terrorizzò Emilia Romagna e Marche tra anni ’80 e ’90. Un prodotto che si guarda come un crime e che ha il merito di “riscoprire” una vicenda molto vicina a noi da essere stata quasi dimenticata, attraverso un punto di vista assolutamente atipico.
A cura di Andrea Parrella
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La televisione, intesa in senso concettuale e non come elettrodomestico, ha il potere di imporsi come strumento definitivo per riscoprire la storia di un paese. È sempre stato così, invero, ma il tempo che stiamo vivendo è quanto mai propizio per l'indagine di vicende che sono in grado di restituire allo spettatore, attraverso il racconto di un caso dettagliato, il quadro generale di un determinato periodo storico.

È quello che accade con La banda della Uno bianca, andato in onda su History Channel e disponibile su Sky On Demand e Now, che ripercorre le vicende che hanno insanguinato
l’Emilia-Romagna e le Marche tra il 1987 e il 1994. Diretta da Claudio Pisano, la docuserie prodotta da Stand By Me approfitta di un capitolo che ha dominato le cronache di quegli anni, raramente approfondimento in chiave documentaristica.

La ricostruzione, che si avvale di un punto di vista unico come quello dei poliziotti che hanno arrestato i fratelli Savi, Luciano Baglioni e Pietro Costanza, restituisce la dimensione precisa di un caso che per anni ha letteralmente terrorizzato quelle zone d'Italia, con una serie di rapine e omicidi (24 in tutto) complicati da ricostruire, visto che gli artefici si nascondevano proprio tra le forze dell'ordine.

Il lavoro di Pisano è attento e meticoloso in chiave di ricostruzione storica, ma palesa anche una grande sapienza nella scrittura del prodotto, che si guarda come un crime e che guida lo spettatore alla progressiva scoperta della vicenda. Un approccio contemporaneo che si allinea al trend di questo periodo storico in cui la docuserialità è diventata strumento fondamentale per svelare pezzi di storia troppo vicini a noi, quindi non ancora rispolverati e storicizzati, permettendoci di riscoprirli come una rivelazione, come si trattasse di prodotti di fantasia. D'altronde ciò che abbiamo sotto gli occhi è ciò che più fatichiamo a vedere, prima che qualcuno si prenda la briga di riscoprirlo.

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"L'avvenire è dei curiosi di professione", recitava la frase di un vecchio film che provo a ricordare ogni giorno. Scrivo di intrattenimento e televisione dal 2012, coltivando la speranza di riuscire a raccontare ciò che vediamo attraverso uno schermo, di qualunque dimensione sia. Renzo Arbore è il mio profeta.
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