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Il segreto di Don Matteo 10: una Chiesa senza scandali e una giustizia che funziona

Una Chiesa che accoglie e perdona. Una giustizia veloce e implacabile. Criminali che si convertono a suon di parabole. Sono questi gli elementi del microcosmo di Don Matteo, quell’Italia utopica che ha trasformato la fiction in un grande successo.
A cura di Daniela Seclì
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Ogni giovedì, dagli 8 ai 9 milioni di italiani decidono di guardare Don Matteo. La serie tv è giunta alla decima stagione, ma gli spettatori non sembrano affatto stanchi. Le vicende del sacerdote – investigatore continuano ad essere uno dei cavalli vincenti della Rai. Ma qual è il segreto di tanto successo? Certo, la fiction può contare su due fuoriclasse come Terence Hill e Nino Frassica. Entrambi, grazie ad una brillante carriera, sono riusciti a guadagnarsi l’affetto del pubblico. Il motivo di dati di ascolto paragonabili a quelli del Festival di Sanremo, però, non può essere solo questo. A ben guardare, quello descritto in Don Matteo è un vero e proprio microcosmo, un ritratto di ciò che l’Italia dovrebbe essere ma che suona stranamente utopico. Pochi elementi comuni, fondano la base di ogni puntata: un prete che si prodiga per la sua comunità e una giustizia che cattura i criminali in 48 ore al massimo. Ciliegina sulla torta, assassini che diventano mansueti come agnellini dopo aver ascoltato dei passi del Vangelo. Almeno un paio di questi fattori dovrebbero essere la normalità, ma la cronaca ci insegna che non è così.

Don Matteo incarna la Chiesa voluta da Papa Francesco

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Negli ultimi tempi, la credibilità della Chiesa è stata minata da una serie di scandali che si sono verificati in Italia e nel mondo. Da Vatileaks, all’attico di Bertone presumibilmente pagato con i soldi destinati ai piccoli pazienti del Bambin Gesù, fino all'arresto di Don Pietro Vittorelli, ex abate di Montecassino, che si sarebbe appropriato dei soldi dell'8 x mille per pagare cene e hotel di lusso, droghe e immobili. Senza dimenticare, ovviamente, i vergognosi casi di pedofilia. Vicende per le quali Papa Francesco ha chiesto perdono. La sua idea di Chiesa è chiaramente espressa nel libro-intervista di recente pubblicazione "Il nome di Dio è Misericordia":

“La Chiesa non è al mondo per condannare, ma per permettere l’incontro con quell’amore viscerale che è la misericordia di Dio. Perché ciò accada, è necessario uscire. Uscire dalle chiese e dalle parrocchie, uscire e andare a cercare le persone là dove vivono, dove soffrono, dove sperano”.

Don Matteo incarna perfettamente l’immagine caldeggiata da Papa Francesco. Una Chiesa in movimento che abbandona i paramenti sacri, le pesanti croci d’oro e le tonache sontuose e in sella a una vecchia bicicletta, va incontro a chi ha bisogno di sostegno. Il sacerdote si mette al servizio della sua comunità, è paziente con chi non vuole ascoltare i suoi consigli, è severo con chi sbaglia, ma è sempre pronto a portare il perdono e la consolazione. È il ritratto perfetto di ciò che dovrebbe connotare qualunque sacerdote. Eppure, lo si guarda con la disillusione di chi sta assistendo ad una favoletta. Forse perché gli scandali del clero hanno condotto ad un disincanto che porta a fare di tutta l’erba un fascio. Ma nel microcosmo della fiction tutto è possibile, anche che un prete, con il suo mantello nero e la bicicletta in tinta, diventi il garante della giustizia.

Criminali acciuffati in 48 ore e convertiti a suon di parabole

Nel mondo di Don Matteo non si può certo dire che la giustizia non funzioni. Il tasso di criminalità è decisamente alto, ma nel giro di 48 ore, il capitano Giulio Tommasi e il maresciallo Nino Cecchini (con la regia occulta di Don Matteo) sono in grado di acciuffare i criminali e ristabilire la pace a Spoleto. Persino gli assassini, non sono poi così malvagi a "DonMatteolandia". Basta narrare loro una parabola tratta dal Vangelo, per farli pentire anche del peccatuccio più veniale. Anche in questo caso, la fiction si discosta dalla realtà, che è tristemente costellata di casi irrisolti o risolti troppo tardi. Emanuela Orlandi, Donato Bergamini, Simonetta Cesaroni e il piccolo Daniele Gravili sono solo alcune delle vittime che ancora attendono giustizia. I criminali che li hanno assassinati, se giudicati dalle loro gesta, faticano a sembrare persone che si lascerebbero impressionare dalle Sacre Scritture.

La fiction Don Matteo fa sognare più di una fiaba

Per concludere, quella di Don Matteo è un po’ l’Italia in cui in tanti vorrebbero vivere. Un mondo talmente perfetto, da essere migliore di quello descritto nelle fiabe. Nelle fiabe, infatti, i cattivi vengono semplicemente puniti. In Don Matteo, invece, entrano a far parte della schiera dei buoni, ben prima di passare dalla riabilitazione del carcere. Il segreto del successo della serie potrebbe essere proprio questo. Per due ore, lo spettatore dimentica l’ingiusta quotidianità e trova conforto e rifugio in quel microcosmo in cui la Chiesa accoglie e perdona, la giustizia è veloce, i criminali diventano buoni e il lieto fine è assicurato.

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