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“Il nostro piccolo grande amore” e la fiera del buonismo, troppo per la vita reale

A lungo andare ha un po’ stancato, sebbene Bill e Jen siano sempre deliziosi quasi quanto i i piccoli Will e Zoey. Il vero problema, infatti, non sono loro, ma la volontà di raccontarli senza sbavature, come se vivessero in un mondo perfetto troppo distante dalla vita reale.
A cura di Eleonora D'Amore
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Il successo de Il Nostro piccolo grande amore non è stato casuale. Impossibile non conquistare il pubblico con le storie di amabili nani, animati dal desiderio di costruirsi una famiglia "normale", dando un futuro migliore a dei bambini (anche loro affetti da nanismo) meno fortunati. "Normale", il virgolettato continua ad essere fortemente voluto perché poi in fondo, dopo ben sette stagioni, questa tanto agognata normalità pare sia stata raggiunta solo in apparenza. La famigliola è felice, ha due cani, una casa di tutto rispetto, soldi a volontà per affrontare qualsiasi tipo di problema, amici che li amano, colleghi che li rispettano, tate ossequiose, medici dediti alla loro causa, famiglie non troppo presenti ma nemmeno ostili o invadenti.

Un mondo incontaminato, nel quale non esistono litigi, risentimenti, reazioni incontrollate, momenti di naturale incomprensione. La "normale" amministrazione di un'ordinaria esistenza è stata inghiottita dalle buone maniere e dal profumo di vaniglia di una deliziosa torta appena sfornata. Non c'è spazio per i problemi, anche quando si verificano in modo dirompente. Il tumore di Jen, le difficoltà con la schiena di Bill, gli scompensi emotivi di Zoey e quelli uditivi di Will: tutto viene descritto nonché affrontato con estrema positività, troppa, a tal punto da invalidare qualsiasi tipo di connotazione umana. In situazioni così delicate, mai un litigio, mai una parola fuori posto, mai musi lunghi, snervanti silenzi o momenti di "fisiologica" depressione?

È indubbio che la positività sia un enorme valore, ma renderlo l'unico ha finito quasi per svilire il chiaro intento educativo prefissato sin dall'inizio. Al paradosso si arriva proprio quando, nel non voler descrivere Bill e Jen come una coppia "diversa", si arriva a renderli quasi alienati dal mondo. Il sottrarli dalle innumerevoli forme di debolezza quotidiane ha penalizzato la loro "umanizzazione", distanziandoli dallo spettatore, laddove il principio di immedesimazione dovrebbe farla da padrone (essendo il format nato come docu-REALITY). È stato bello assistere al loro riscatto iniziale, con la formazione di un nucleo familiare e di una situazione economica stabile, ma se la fiera del buonismo doveva prendere così tanto il sopravvento, tanto vale evitare di rendere la famiglia Klein l'icona di un modello vincente. Perché se la mano, allungandosi, si scontra con lo schermo, interrompe un processo necessario per trasformare un successo in un successo che dura nel tempo.

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Casertana di origine, napoletana di adozione. Laureata in Lingue e Letterature Straniere all'Università L'Orientale di Napoli, sono Caposervizio dell'area spettacolo a Fanpage.it dal 2010, anno in cui il giornale è nato. Cinefila e appassionata di tv, nel tempo libero mi alleno a supportare un cognome impegnativo. 
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