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Opinioni

Ho un problema con le serie tv ultra-ortodosse

“Unorthodox”, “Shtisel” e questa nuova moda di guardare serie ultra-ortodosse un po’ come se fossero le tigri bianche allo zoo. È tutto come “Un posto al sole” ma senza Patrizio Rispo e con la mezuzah fuori la porta di casa. Purtroppo resto vittima del racconto di un mondo che è agli antipodi con il mio, immune alla fascinazione che questi personaggi stanno creando altrove.
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Sono giorni che mi prudono le mani su "Unorthodox", "Shtisel", entrambe disponibili su Netflix, e questa nuova moda di guardare serie ultra-ortodosse un po' come se fossero le tigri bianche allo zoo. Dopo giorni a rimuginare, vorrei finalmente parlare di come ho approcciato a questa ultra-orthodox-mania. Una premessa è d'obbligo: sono a disagio con ogni tipo di culto religioso, anche quello cristiano-cattolico. Non credo in Dio, ma provo a comportarmi come se ci fosse. Ad ogni modo, da qui in avanti potreste ritrovarvi a leggere qualcosa di tremendamente acido e scivoloso. Consapevole di addentrarmi in qualcosa che rischia di attirare antipatie, o molto peggio, accuse di antisemitismo, let’s go.

Tutti, tra i commenti sui social e le varie critiche nazionali e non, considerano le due serie in questione come dei progetti dotati di grande fascino e coinvolgimento. E raccontando cosa? Un mondo fatto di discutibili regole-obblighi morali? Delle regole che impongono ai protagonisti di sentirsi in colpa per le passioni più innocue, come il disegno o la musica. Altri, invece, che sono costretti a dannarsi per la comprensibile pulsione di provare a rifarsi una vita dopo la morte della propria amata.

Una umanità castrata da una dottrina

È il racconto di una umanità castrata da una dottrina, di sentimenti incatenati in ragione della volontà di un Dio che non sai se c'è ma che si vede in certe privazioni della libertà personale. Privazioni che nel guardarle, letteralmente, mi hanno fatto stare male. Poi, sì, sul piano narrativo è nobile lo scopo, soprattutto di “Shtisel”, di umanizzare/disumanizzare una comunità di persone che, proprio a causa della loro chiusura vive in un contesto di crescente emarginazione. Se in “Unorthodox” c’è Esty che vuole fuggire da quel mondo di regole, in “Shtisel” si parla della vita di tutti i giorni, delle gioie e dei dolori, sottostando a quelle logiche e a quelle regole. Come “Un posto al sole”, senza Patrizio Rispo però con la mezuzah fuori la porta di casa.

A parte la sensazione voyeuristica, una curiosità pari appunto a quella può venire anche guardando gli animali allo zoo, le comunità come quelle al centro delle due serie possono essere in realtà anche peggio di come vengono descritte (qualcuno ha letto "L'educazione" di Tara Westover?). Con le loro ossessioni di mettere Dio e i suoi precetti ostinatamente al centro di tutto.

La forza delle donne nelle comunità ultra-ortodosse

C'è però una cosa, una soltanto, che ho particolarmente apprezzato nella narrazione di "Unorthodox" e di "Shtisel" : la forza delle donne. Proprio così. Faccio salve solo le donne in queste serie ultra-ortodosse. Forti, emancipate, consapevoli del loro potere all’interno di una cultura che le ritiene (e le vuole) senza alcuna ulteriore funzione, se non quella di procreare. Per il resto, rimango vittima del racconto di un mondo che è agli antipodi con il mio, immune alla fascinazione che questi personaggi stanno creando.

Non per questo ritengo sia tempo sprecato guardare di fila "Unorthodox" e "Shtisel", questo sì che sarebbe un atteggiamento anti-semita. Dunque prendete e guardatene tutti e magari scambiamoci le nostre opinioni, perché ogni storia e ogni vita vale sempre la pena di essere raccontata.

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Gennaro Marco Duello (1983) è un giornalista professionista. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa di Napoli. Lavora a Fanpage.it dal 2011. Ha esordito nella narrativa nel 2022 con il romanzo Un male purissimo (Rogiosi). California Milk Bar - La voragine di Secondigliano (Rogiosi, 2023) è il suo secondo romanzo.
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