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Fabrizio Coniglio, impresario Galanti in Io sono Mia: “Il suo talento lo ha capito solo il pubblico”

L’attore Fabrizio Coniglio ha interpretato l’impresario che più di tutti ha mostrato vicinanza e appoggio a Mia Martini negli anni difficili, in cui dicerie e voci sul suo conto le avevano praticamente distrutto la carriera: “Mi sono immaginato Galanti come un uomo di altri tempi, pronto a mettere le mani addosso a un dirigente Rai e farsi un mese di carcere pur di difenderla”.
A cura di Andrea Parrella
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Tra i personaggi che hanno impreziosito "Io sono Mia", il film per la Tv che ha raccontato la travagliata carriera artistica di Mia Martini, c'è quello di Roberto Galanti, il discografico che assisté la Martini dal 1981, Roberto Galanti, interpretato da Fabrizio Coniglio. Un uomo che affiancherà Mia in anni difficili della sua carriera e si batterà per impedire il dilagare delle dicerie sul conto della cantante, come raccontato dalla scena in cui litiga con un dirigente Rai che si rifiuta di fare il nome di Mia Martini nei corridoi dell'azienda. L'attore piemontese ha raccontato a Fanpage.it la sua esperienza e ha commentato il successo dell'operazione: "Devo dire che sono rimasto colpito insomma. Stamattina i dati erano pazzeschi, il film ha sfiorato gli 8 milioni".

Come ti spieghi questo enorme riscontro?

Il merito è dovuto innanzitutto all'icona di Mia, amata da tutti perché credo che tutti siamo a conoscenza di questa sua sorte avversa, nonostante fosse una grande artista. Diventa una storia che ha dei contenuti epici, perché è il talento enorme offuscato dalle dicerie e non c'è niente di più falso.

Per te quella di Mia è una vicenda che riguarda solo il passato?

È certamente una storia che diventa anche di attualità, perché siamo in un momento in cui il sentore popolare è quello che il talento non venga premiato e diventa proprio l'apice di un pensiero. 

La tua percezione di Mia Martini e della sua vicenda era chiara sin da prima, o è cambiata con la partecipazione al progetto?

Chiara di sicuro non era, certamente è una storia che mi ha colpito. Quando ho saputo di far parte di questo progetto non potevo che esserne contento e ho approfondito la sceneggiatura, leggendo tante cose su Mia, testimonianze e anche cose che mi hanno detto su altri set, tra cameraman e tecnici che mi dicevano come si fosse sparsa questa voce e c'era la gente che viaggiava coi cornetti. Era proprio una cosa pesante e palpabile, immagino la sensazione sua, dello staff, quando andava da qualche parte. Era diventata insostenibile. Ovviamente per una donna è più difficile, perché già per una donna imporsi nel mercato dell'arte è più complesso che per un uomo, purtroppo ci sono molte più difficoltà e quindi posso solo provare a figurarmi le difficoltà che hanno vissuto.

Tra teatro, cinema e televisione tu vivi il mondo dello spettacolo a tutto tondo. Al di là delle proporzioni del fenomeno, quello che ha riguardato Mia Martini è un qualcosa che si verifica ancora oggi?

In teatro ogni tanto si dice, con stupidità, ma in maniera molto lieve. Però vedi, il mondo dello spettacolo non ammette il talento. Il talento lo riconosce solo e unicamente il pubblico. È difficilissimo che un collega o un'altra persona dello spettacolo, riconosca un talento in qualcosa che non è sé. La cosa riguarda soprattutto il momento storico che viviamo, in cui il narcisismo è dilagante e patologico, quindi malato, radioattivo. Quindi non si fanno i conti con i propri limiti e quando non si fanno i conti con i propri limiti artistici, si inizia a sparare e distruggere ciò che c'è intorno. Paradossalmente i più cattivi sono interni al sistema, non sono esterni, perché Mia era amatissima dal pubblico, tant'è vero che oggi ne parliamo e la adoriamo ancora. Perché il pubblico conta più di tutto per un artista, è la memoria storica di un artista. Mia Martin oggi è più forte di tutte le maldicenze perché il pubblico l'ha amata.

Insomma, il problema a tuo avviso era interno all'ambiente?

Sì, ci sono tanti interessi, allora era il periodo d'oro delle case discografiche, non è come adesso che i talent ti presentano ragazzi che non si sa nemmeno chi siano. L'antropologia della musica è cambiata completamente. Il nemico è dentro all'ambiente, un ambiente estremamente competitivo, con metodi scorretti che potevano anche essere di concorrenza sleale. Poi c'è chi ha le spalle quadrate e ce la fa, con tanta sofferenza, e chi no. 

Nel film tu interpreti il discografico Roberto Galanti, forse l'addetto ai lavori che più di tutti si è battuto contro le dicerie su Mia Martini.

In merito a questo io devo dirti che c'è dello stupore, perché il mio in questo film, di cui sono orgoglioso di far parte, è di fatto un cameo. Mi fa molto piacere però che evidentemente sia rimasto e per questo devo ringraziare il regista Riccardo Donna e la sceneggiatrice Monica Rametta. Nel mio piccolo ci ho messo il cuore, ma francamente non pensavo potesse risultare così. Forse da un punto di vista narrativo quella scena col dirigente Rai mi ha molto colpito per il coraggio della scrittura, anche perché era di fatto un attacco all'azienda stessa. E poi perché quella scena raccontava un uomo come erano quegli uomini di allora, altro segnale di come sia cambiata l'antropologia del sistema culturale.

Una visione romantica del manager discografico…

Quella era gente del dopoguerra, con una tradizione e un sistema valoriale forte, molto diversa da chi vive oggi questo contesto. Te lo immagini un giudice dei talent che va a battere così alla porta di un dirigente? È una cosa che non esiste.

Per il personaggio che hai interpretato ti sei preparato in qualche modo particolare?

Roberto Galanti è esistito veramente. Lui era più romano, io torinese e l'ho voluto riportare al nord, è stata una mia interpretazione, semplicemente perché nel mio immaginario ci sono molti discografici e agenti del nord irruenti che ho conosciuto, anche simpatici, eccentrici. Io mi sono documentato su Galanti, che è stato un grande agente, ha scoperto Eros Ramazzotti ai suoi inizi e la cosa principale che mi è venuta da pensare in merito a questo personaggio è che, nella scena in cui si svuota il locale, lui si deprima più di Mia Martini stessa, perché non può credere a un tale livello di stupidità del mondo che lo circonda. 

Quindi non hai cercato una somiglianza a tutti i costi?

Ho preferito evitare l'imitazione. La stessa sceneggiatura, che ha dei momenti di fantasia nei dialoghi, mi ha suggerito di seguire questa strada, facendomene un'idea. Mi è venuta fuori, da tutte le interviste che gli artisti facevano su di lui, che era un sanguigno. Ecco perché mi sono immaginato che lui, a quel dirigente Rai, avrebbe messo quasi le mani addosso. Piuttosto si fa un mese di carcere, ma quello che pensa deve dirglielo in faccia. 

Cosa pensi dell'interpretazione di Serena Rossi?

Devo dire che ha dei momenti di somiglianza incredibile, sembra che viva Mia con l'anima, non facendo un'imitazione. Personalmente non posso che ringraziarla, anche per la nostra collaborazione sul set. 

Oltre a Mia hai preso parte ad altri progetti televisivi che andranno in onda in questa stagione?

Questo era l'ultimo, ma ne ho fatti diversi fino ad ora. Da "Rocco Schiavone", in cui sono stato protagonista di uno degli episodi della seconda stagione a "L'Allieva", in cui ho un ruolo fisso, a "La Compagnia del Cigno", andato in onda poche settimane fa. Inoltre faccio principalmente teatro, come regia, recentemente "Un borghese piccolo piccolo" con Dapporto. L'8 aprile invece porterò al teatro Argentina di Roma un testo teatrale, che ho scritto con un magistrato, sulla borsa di Calvi. 

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