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Eduardo Scarpetta è Renato Carosone: “Il cognome non mi pesa, ho fatto tutta la gavetta”

Il 27enne Eduardo Scarpetta è tra i volti più promettenti del panorama attoriale italiano. In questa intervista racconta come si è travestito da Renato Carosone per il film di Rai1 e come affronta il cognome pesante che porta. Da L’Amica Geniale a Carosello Carosone, il suo volto racconta la Napoli di una volta: “Un regista mi disse ‘hai la faccia antica’”.
A cura di Andrea Parrella
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Dal rione Luzzatti de L'Amica Geniale alla Napoli degli anni di '30 culla di Renato Carosone il passo è breve. Eduardo Scarpetta, 27 anni, è uno dei volti più promettenti della scena attoriale partenopea. E non solo partenopea, vista la centralità di Napoli nel racconto televisivo e cinematografico contemporaneo. In "Carosello Carosone", film per la Tv in onda su Rai1 il 18 marzo, diretto da Lucio Pellegrini, Scarpetta è chiamato all'impresa di prestare il volto a una leggenda della musica internazionale, autore di successi noti in tutto il mondo da "Tu vuo' fa l'americano" a "Caravan petrol", più volte in cima alle classifiche americane come solo Domenico Modugno era riuscito a fare. Gli abbiamo chiesto come ha lavorato a questa ricostruzione.

Scarpetta, nel passaggio dalla contemporaneità al diventare leggenda si perde sempre qualcosa dell'uomo. Cosa hai imparato di Renato Carosone che non sapevi?

C'era un'infinità di cose che non conoscevo del Carosone uomo. Ad esempio il periodo in Africa, dove a 17 anni si trovò in un locale davanti a gente che disprezzava la sua musica. Per poi finire in mezzo a una strada, poi in guerra e, solo dopo, incontrare Lita, la donna della sua vita, portandola in Italia con sé e riconoscendone il figlio di 5 anni. Nemmeno sapevo che a 39 anni avesse deciso di lasciare la musica nel momento di maggior successo. Scelta apparentemente assurda ma che ho trovato comprensibile, perché a quell'età aveva raggiunto il massimo e dopo poteva esserci solo una discesa.

A proposito della paternità, in questo film si scopre per la prima volta che Pino non è figlio naturale di Renato Carosone. Il ritiro precoce si potrebbe legare anche al non voler essere assente come lo era stato per lui la madre, morta presto.

Potrebbe essere una chiave di lettura, questo malessere verso l'idea di non veder crescere suo figlio. Girare il mondo negli anni '50 era completamente diverso da oggi, significava non esserci. Possiamo immaginare che lui abbia detto basta anche e soprattutto perché non si stesse vivendo la moglie e il figlio. Questo al netto dell'apice raggiunto con il concerto al Carnegie Hall di New York dopo il quale era difficile immaginarsi qualcosa di più grande.

Per immedesimarti in Carosone anche nel canto e al piano hai lavorato con due maestri come Ciro Caravano (Neri per Caso) e Stefano Bollani.

La lavorazione è partita proprio con Ciro, con cui sin da agosto scorso ho iniziato a prendere lezioni di canto e piano. Ho incontrato Stefano per la registrazione delle canzoni prima dell'inizio del film. Trovarmi in uno studio con tutti e due non è stata cosa da poco. Inoltre io avevo già studiato con Ciro Caravano, ho chiesto io che fosse lui a seguirmi. È stato chiaramente un valore aggiunto, perché lui è un orecchio assoluto, un maestro di canto e piano da sempre.

Quindi in scena sei tu a suonare?

Chiaro che è impossibile diventare Carosone in un mese e mezzo. Io suono il piano solo ed esclusivamente nei momenti del film in cui Carosone crea "Maruzzella", "Caravan Petrol" e "Tu vuo' fa' l'americano". In tutte le altre situazioni ci sono in campo le mie mani, solo che io in realtà premevo tasti a caso. Chiedevo a Ciro in che zona del pianoforte toccare tasti e andare a tempo, ma sapere che nel film si vedano tante volte le mie mani sul piano è una bella soddisfazione. Chiaramente i momenti in cui si vede lo stretto sulle mani, quello è Bollani.

Prima del film non avevi alcuna familiarità con la musica?

Non avevo mai messo mano su uno strumento musicale, il massimo era stato comprare anni fa uno djembe per strada a Trastevere.

Errori di adolescenza che capitano a tutti…

Vorrei tanto dire che è successo a 14 anni, ma non c'è niente di adolescenziale. La cosa è molto più recente la cosa.

E la voce è sempre tua?

Sì, abbiamo registrato le canzoni prima dell'inizio del film, sul set ovviamente c'era un playback.

Carosello Carosone è il secondo prodotto a cui prendi parte per Rai1, il precedente è L'Amica Geniale. Tra i due c'è una continuità di racconto di una Napoli del passato che sembra molto legata a questa classicità del tuo volto.

Sono d'accordo. Adesso sto girando un film – "La donna per me" di Marco Martani – che è il primo a cui partecipo ambientato ai giorni nostri, ma se penso agli altri lavori che ho fatto hanno tutto questo filo conduttore c'è. Da Capri Revolution nel 1913 a L'Amica Geniale dai '50 ai '70 – la terza stagione la stiamo girando in questo periodo – fino al film dedicato alla storia della mia famiglia ambientato a inizio ‘900. Mi fa pensare a una cosa che mi disse tempo fa il regista Roberto Andò, quando feci una comparsa in un suo spettacolo a 15 anni, lui mi guardò e mi disse: "Tu hai la faccia antica".

Accennavi a Qui rido io, il film di Mario Martone sulla famiglia Scarpetta.

Racconta il periodo storico in cui Eduardo Scarpetta è stato in causa con Gabriele D'Annunzio, dal 1908 al 1913. Abbiamo finito di girarlo a luglio ma purtroppo è fermo ai box per ovvie ragioni, doveva uscire nei cinema. 

Hai parlato del tuo cognome pesante, quella degli Scarpetta è la dinastia di attori più nota di Napoli.

Ho cominciato a 9 anni con mio padre, che ho perso a 11 anni e mezzo, e dopo mi sono detto che se ce l'avessi fatta ci sarei riuscito con le mie gambe.  Infatti ho cominciato da comparsa, poi con una battuta, poi un dialogo e così via. Sono arrivato piano piano alla visibilità di oggi.

Al di là degli inizi, questo cognome continua ad essere un limite ancora oggi?

Io ho sempre saputo di voler fare questo nella vita, il ragionamento base è che se fossi stato un vero incapace, un cane, proprio in ragione del cognome che porto me lo sarei sentito confessare a 15 anni da una persona che mi voleva bene: "Edua', sient' a me, faje ‘n'ata cosa, apriti un ristorante".

E nessuno, evidentemente, te lo ha mai detto.

Non credo, almeno. E in questo mestiere, al netto della passione, sono anche gli altri a darti fiducia, ad invitarti a studiare e a non perderti.

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