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Bruzzone replica a Franca Leosini: “Le donne non lasciano al primo schiaffo perché sono manipolate”

In un’intervista rilasciata a Fanpage.it, Roberta Bruzzone ha commentato le polemiche che hanno interessato Franca Leosini dopo la puntata di Storie Maledette dedicata alla vicenda di Sonia Bracciale. La criminologa e psicologa ha spiegato perché le donne che subiscono violenza non riescono a scappare dopo aver ricevuto il primo schiaffo.
A cura di Daniela Seclì
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Nella puntata di Storie Maledette trasmessa domenica 14 giugno, Franca Leosini ha intervistato Sonia Bracciale, condannata a 21 anni di reclusione con l'accusa di essere la mandante dell'omicidio dell'ex marito Dino Reatti. La donna ha raccontato le violenze che subiva, mentre scorrevano sullo schermo le foto delle fratture e dei lividi. Franca Leosini ha commentato: "Lei ha un quoziente di responsabilità come ce l'hanno tutte le donne che al primo omaggio di uno schiaffone non mollano l'uomo che si è permesso di darglielo". La frase e, più in generale, il modo in cui è stata condotta l'intervista ha causato polemiche e l'intervento del D.i.Re – Donne in rete contro la violenza. Fanpage.it ne ha parlato con Roberta Bruzzone. La psicologa e criminologa ha replicato a Franca Leosini e ha spiegato perché molte donne non scappano dopo la prima violenza:

"Quando una donna rimane per anni in una relazione tossica, c’è sempre una storia di manipolazione profonda. Viene portata a una tale passività e scarsa fiducia in sé, che ritiene che nonostante sia intrappolata in una relazione negativa, disturbante, che genera sofferenza e angoscia, non possa vivere senza il manipolatore".

Qual è la sua opinione riguardo alle polemiche che hanno investito Franca Leosini?

Al di là della frase in sé, un po’ tutta l’intervista è l'ennesimo esempio di applicazione di schemi di matrice patriarcale. Sono quelli che impediscono spesso alle donne di denunciare. È paradossale che con una giornalista di grande esperienza come la Leosini, si irrobustiscano degli stereotipi che invece dovremmo combattere. Non si deve riconoscere alle donne “un quoziente di responsabilità”, perché non ce l’hanno. Sono all’interno di quelle dinamiche tossiche perché vengono manipolate. Non riconoscere questo aspetto mi sembra molto grave per un programma rivolto a una platea tanto ampia. Liquidare una storia con "le donne hanno un quoziente di responsabilità", mi dispiace ma no, non ci posso stare. Non è così. È un’azione semplicistica e fuorviante. L'aspetto della violenza andava indagato più che giudicato.

Su La Stampa, Franca Leosini ha definito la sua frase "un pensiero che corre sul filo della logica" espresso in un contesto colloquiale.

Non lo è sul filo della logica. Lo è per una donna comune, non per una che da anni affronta storie di questo genere. Non è logico per niente, anzi. È fondamentale comprendere che la vittima non ce la fa a sottrarsi, perché sono subentrati meccanismi che di logico non hanno nulla. Di patologico semmai.

La giornalista ha aggiunto che intendeva dare un consiglio e non rimproverare le vittime di violenza.

Le donne lo sanno benissimo che il primo schiaffo è un segnale d’allarme, ma quando arriva sono già dentro la relazione mani e piedi dal punto di vista della dipendenza. Se fosse così facile andarsene probabilmente lo farebbero. Sul piano razionale ha senso dire: "Se prendo una sberla, me ne vado", ma non è un meccanismo razionale. È molto più profondo e ha basi nelle fragilità della donna, che sono state indotte, alimentate molto prima di arrivare al maltrattamento vero e proprio. Quindi grazie, ma mi sembra un consiglio abbastanza scontato. Con tutto il rispetto, peraltro Franca Leosini è una persona di alto spessore socioculturale, faccio fatica a pensare che non comprenda certe dinamiche. Non è la prima volta che va in una direzione preoccupante da questo punto di vista.

A cosa si riferisce?

Ricordo un passaggio dell’intervista che fece a Rudy Guede che mi gelò il sangue. Si parlava della vicenda di Meredith Kercher. Consideri che la Kercher aveva oltre 40 lesioni, la maggior parte delle quali collocate nell’area genitale. All’interno della vagina di Meredith c’era il DNA di Rudy Guede. Liquidare la questione, definendo una violenza sessuale conclamata con il “ditino birichino” francamente mi sembra una cosa che non sta né in cielo, né in terra. Già all’epoca ho fatto un po’ un passo indietro rispetto al modo che ha la signora di gestire certe situazioni. Non concepisco che possa essere trattato in questo modo un reato. Il signor Guede non ha usato “un ditino birichino”, il signor Guede ha aggredito Meredith Kercher in maniera brutale e non è certo una cosa da cui Meredith ha tratto beneficio in alcun modo. Diciamo che non è la prima volta che si arriva a sposare una chiave di lettura che è molto discutibile e superficiale.

Tornando alle polemiche seguite all'intervista di Sonia Bracciale, ci spieghi lei perché una donna non se ne va dopo il primo schiaffo.

Quando la donna arriva al maltrattamento è perché ha già subito dei meccanismi manipolatori che la portano a non assegnare valore a se stessa e, di conseguenza, a continuare a dipendere dal maltrattante. La violenza è lo step successivo rispetto al maltrattamento psicologico, è per quello che restano. Non sono mica tutte imbecilli, il concetto che è passato sembra questo. Prima ancora di andarsene, devono entrare in una modalità che in qualche modo le separi psicologicamente dall’aguzzino. Questa è la parte difficile.

Per questo fanno fatica a chiedere aiuto?

Sì, devono prima ripristinare una condizione di rispetto di sé che è stata completamente annichilita dal maltrattante durante la relazione. Non scappano perché pensano di non valere nulla, di non meritare di essere aiutate, sono ormai convinte di essere esattamente come il maltrattante le descrive cioè stupide, cretine, incapaci. Una persona resa impotente, non ha la capacità di chiedere aiuto. Però se questa parte della storia non la raccontiamo, ci limitiamo a giudicare una persona che ha subito per anni maltrattamenti. Ciò vuol dire non solo fare cattiva informazione, ma anche non aver capito niente di questo tipo di scenario.

È importante rimarcare che la vittima non è corresponsabile.

La vittima non è mai corresponsabile, viene portata a una condizione di passività tale da non riuscire più a difendersi. Viene resa incapace di prendere la decisione di andarsene. Non è una scelta razionale quella che fa la vittima, è che non riesce a vedere una via d’uscita. Non va giudicata per questo. Siamo nel 2020, ma è una roba che fa veramente cadere le braccia. Se su Rai3, un importante programma come Storie Maledette trasmette il messaggio ‘E comunque è colpa tua’, queste donne – già in una condizione di annichilimento e destrutturazione della personalità e con il timore di essere giudicate negativamente – non faranno mai un passo. Rimangono dove sono. Senza contare tutte quelle che per sottrarsi a questa condizione si tolgono la vita.

Come si cade nella trappola del maltrattante?

Soprattutto nei manipolatori affettivi narcisisti, la parte iniziale della relazione è piena di stimoli meravigliosi. Regali, attenzioni, complimenti. La persona scivola molto rapidamente in una condizione di innamoramento che poi sfocerà nella dipendenza. All’inizio è tutto meraviglioso. Il problema è che è una recita e la vittima questo non riesce a coglierlo. Dopo una serie di piccoli test che vengono fatti attraverso una serie di condotte, il soggetto si rende conto che l’altra non riesce a separarsi da lui e a quel punto getta la maschera e salta fuori per quello che è. Però è tardi perché la vittima è convinta di non poter più fare a meno di questa persona. Il maltrattante si nutre dell’umiliazione e della sofferenza che riesce a generare nella sua vittima, così in maniera subdola e progressiva la manipola, la trasforma, la ricondiziona dal punto di vista psico-comportamentale per trasformarla nel suo sacco da pugni.

Franca Leosini ha chiesto a Sonia Bracciale: "Da cosa aveva origine la violenza di suo marito?". Giro la domanda a lei, esistono motivi razionali, logici che generano la reazione violenta del maltrattante?

Non è una domanda a cui la Bracciale può rispondere. Si tratta di pretesti aleatori, privi di senso, anche se avesse messo troppo sale nella minestra, o avesse piegato i calzini in maniera diversa. È un modello di comportamento che il soggetto adotta, con qualunque pretesto anche quello più banale, perché gli serve uno scenario in cui mettere in campo una condotta da cui trae piacere, soddisfazione psicologica, e che consiste nel far soffrire, ingiuriare, picchiare…Non è perché la donna ha fatto qualcosa. E ci risiamo, la musichetta di fondo è sempre "Te la sei meritata". Questi soggetti hanno valori radicati negli stereotipi che purtroppo abbiamo visto andare in onda. La donna è la loro e possono farci quello che vogliono. Generano sofferenza, come una specie di termometro per misurare quanto potere hanno.

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