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Indignarsi per Barbara d’Urso e avere la coscienza a posto

La recita dell’Eterno Riposo con Salvini per i morti del coronavirus ha attivato il consueto sistema di indignazione a comando nei confronti di Barbara d’Urso. Un’indignazione consolatoria, apparentemente trasversale, che fatica però a trovare riscontro nei numeri: se tutti detestano la Tv della D’Urso, chi è che la guarda?
A cura di Andrea Parrella
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Non si contano le volte in cui, negli ultimi anni, il giorno dopo una puntata di un programma a caso di Barbara d'Urso siano spuntati fuori commenti di indignazione e senso di scandalo per "il momento più basso della storia della Tv". Così tanti che si farebbe fatica a ricordarli, enumerarli uno ad uno. L'ultima è accaduta ieri, con la conduttrice che, apriti cielo, si è addirittura azzardata a recitare un "Eterno riposo" con Salvini per le vittime del coronavirus, in un tempo in cui funzioni religiose e liturgie varie sono legittimamente tornate alla ribalta televisiva.

Anche per questa preghiera nella cattedrale del trash, che a giudizio di tanti ha prestato il fianco ad una becera speculazione politica del leader della Lega, la pioggia di insulti è stata alluvionale. Inquantificabili le richieste di chiusura dei suoi programmi sui social, gli inviti ponderati, oppure rabbiosi, a una riflessione su ciò che la televisione può o non può mandare in onda in questo momento. Manca l'arresto per direttissima, solo perché toccherebbe fare i conti con le querele.

Detto in tutta onestà, chi scrive ritiene che la preghiera per i morti del coronavirus a "Live – non è la d'Urso" sia stata solo una delle imbarazzanti acrobazie televisive regalate negli ultimi anni da Barbara d'Urso (forse non la peggiore). Imbarazzo, appunto, perché di questo si parla. Il più delle volte si giudica immondo quanto si vede nei programmi della conduttrice di Canale 5, sebbene si tratti semplicemente di qualcosa che a noi (alcuni di noi) appare andare ben oltre il senso del ridicolo.

Ma se c'è una lezione che avremmo fatto bene ad imparare in questi ultimi anni di televisione, è che la grande abilità di Barbara d'Urso sta nell'aver abbattuto ogni confine, ogni forma televisiva convenzionale, disegnando uno spazio in cui non esistono leggi predefinite. La Barbara nazionale si è furbescamente impossessata di un passepartout per mettere piede ovunque, dalla cronaca al gossip, dalla politica alla musica, dal reale al metafisico. Tutto le è concesso in quanto nulla le è vietato.

Anche perché il solo divieto potrebbe arrivare dagli ascolti (qui quelli di ieri sera) e, nella fattispecie, se le critiche a lei rivolte in questi anni avessero avuto il benché minimo effetto, la benché minima parvenza di ricaduta reale, Barbara d'Urso non sarebbe certo in video sei giorni su sette. E invece è lì, viva e vegeta. Il suo metodo potrà avere dei limiti, difficilmente potrà ambire a creare un universo come quello di Maria De Filippi, ma un pubblico ce l'ha. Barbara d'Urso piace, piaccia o no. Per cui, da dove arrivano queste critiche, esattamente? Quella grande massa che sembra rigettare il suo stile, rappresenta davvero una massa?

Pare di no, evidentemente, e sembra, piuttosto, che Barbara d'Urso sia l'esemplificazione televisiva di una forma di indignazione a comando, nient'affatto ingiustificata, ma debole. Di lei si fa il discorso che un tempo valeva per il Berlusconi politico: molti la guardano, in pochi sono pronti ad ammetterlo. Forse non c'è, infatti, personaggio che meglio abbia tradotto televisivamente la formula matematica del Cavaliere, quella secondo la quale la spinta sull'acceleratore va applicata in maniera direttamente proporzionale all'incazzatura generata in chi guarda. E a guardare sono tanti, tra i quali anche coloro che osservano i programmi della D'Urso col sopracciglio all'insù, con spregio e senso di rigetto, indifferenti al fatto che il proprio ruolo di telespettatore si riduca ad un momento effimero, disperdendosi nell'indicatore numerico di un'indagine di mercato.

Dove va a finire, dunque, tutta questa indignazione? Per buona parte a rinvigorire la convinzione di far parte di qualcosa, di una comunità non ben definita che, se pure disorientata dal punto di vista del cos'altro guardare, sa benissimo cosa non deve guardare, o dire di non guardare. Consolandosi in questo senso di appartenenza in attesa del prossimo "punto più basso". Che arriverà, stiamone certi.

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