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Ancora La Pupa e il Secchione, e poi ci chiediamo perché la gente spenga la Tv

È anche per La Pupa e il Secchione se oggi esistono stuoli di 30-40enni che chiedono ai propri genitori con espressione disgustata dove trovino il coraggio per guardare la televisione. È anche a causa di programmi come questo se i figli di quei 30-40enni non sanno nemmeno che cosa sia la televisione. Eppure La Pupa e il Secchione è tornato in onda.
A cura di Andrea Parrella
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Qualunque sia la ragione economica dietro la scelta di continuare a proporre La Pupa e il Secchione in televisione (ammesso che ve ne sia una), non è sufficiente a giustificarlo. Chiunque scriva di Tv ha il cosiddetto pelo sullo stomaco e non è quindi da snobismo che matura questa considerazione, che per giunta non ha niente a che fare con i protagonisti di questa nuova edizione (in onda dal 21 gennaio su Italia 1). Il conduttore Andrea Pucci e i concorrenti sono solo innocenti e inconsapevoli interpreti di un prodotto che rappresenta in maniera plastica lo stato comatoso della televisione.

La Pupa e il Secchione (e viceversa), semplicemente, non ha senso di esistere oggi. Come può anche solo venire mente, in un momento storico segnato da un'avversità agli stereotipi che ha raggiunto livelli ossessivi, di riproporre un format concepito 16 anni fa (Beauty and the geek, 2005) interamente basato su un gioco di ruolo che mette in contrasto la bellezza e l'intelligenza? Come è possibile pensare che la compensazione di quel "e viceversa", aggiunto al titolo e al format, possa correggere il tiro di una trasmissione che 15 anni fa si proponeva come espressione televisiva di uno tra i luoghi comuni più dannosi sul rapporto tra uomo e donna?

La prima edizione italiana de La Pupa e il Secchione risale al 2006, data che non pare affatto casuale. È proprio in quegli anni, infatti, che in un'Italia all'apice del berlusconismo imperante si inizia a produrre una frattura tra le nuove generazioni e la televisione, avviata verso un'inesorabile deriva che ha prodotto macerie culturali non quantificabili e ha dato sostanza all'aggettivo "trash", prima entrato nel linguaggio comune e oggi mitizzato da chi ha imparato a ridere di quelle macerie (per intenderci, a parere di chi scrive è da questo contesto che maturano universi come quello di Trash Italiano e simili).

Non pare casuale, dicevamo, perché molti di quelli che crescevano nel 2006 hanno contribuito ad arricchire un esercito che ha preso le distanze da quelle forme di rappresentazione e intrattenimento, non riconoscendosi in esse e cercando altrove il materiale di cui cibarsi per trovare coordinate e riferimenti nel mondo dell'audiovisivo. E sapete dov'è che la maggior parte di essi ha trovato un posto per stare nel mondo? In quell'universo parallelo incipiente chiamato internet da cui, riavvolgendo velocemente il nastro, sono derivati Youtube, i social network e poi le piattaforme streaming come Netflix. Vi sembra un caso?

In sintesi: è anche per La Pupa e il Secchione se oggi esistono stuoli di 30-40enni che chiedono ai propri genitori con espressione disgustata dove trovino il coraggio per guardare la televisione. È anche a causa di programmi come questo se i figli di quei 30-40enni non sanno nemmeno che cosa sia la televisione.

Un barlume di lucidità e buon senso aveva portato alla decisione di non riproporre La Pupa e il Secchione dopo la prima edizione. A riabilitare il programma a 15 anni di distanza ci ha pensato il caro effetto nostalgia, dannazione dei nostri tempi che il più delle volte nasconde un processo di rimozione collettiva.

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"L'avvenire è dei curiosi di professione", recitava la frase di un vecchio film che provo a ricordare ogni giorno. Scrivo di intrattenimento e televisione dal 2012, coltivando la speranza di riuscire a raccontare ciò che vediamo attraverso uno schermo, di qualunque dimensione sia. Renzo Arbore è il mio profeta.
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