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NO non è la BBC, Renzo Arbore celebra Gianni Boncompagni: “La nostra TV inventò i giovani”

Giovedì 26 settembre Renzo Arbore torna in TV con “NO non è la BBC”, su Rai2, nel ricordo di Gianni Boncompagni, compare di scorribande, spalla di spensieratezza. Con un’intervista a Fanpage.it Arbore ripercorre la vita vissuta insieme all’amico di sempre e ci spiega la grammatica del cazzeggio, quel voto all’improvvisazione con cui hanno fatto la storia della radio e della TV.
A cura di Andrea Parrella
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Una marcetta risuona, insistente, nella testa. È l'ennesimo jingle riuscito della carriera di Arbore, di quelli che non ti mollano, forse complice la similitudine con "La vita è tutto un quiz". L'appuntamento con "NO non è la BBC" è fissato per giovedì 26 settembre, alle 21.05, su Rai2. Un programma con cui Renzo Arbore ricorderà in TV l'amico di sempre Gianni Boncompagni. Scomparso due anni fa, il regista ha lasciato un solco indelebile sulla storia del mezzo e nessuno meglio di Arbore può raccontare cosa rendesse Boncompagni unico. Glielo abbiamo chiesto, per comprendere anche in quale direzione stia andando quella televisione che lui (e Boncompagni) sovvertirono.

Quando parla del suo sodalizio con Boncompagni fatica a non commuoversi, il che mi fa pensare sia un ricordo spossante. Rievocarlo in TV significa rispondere a un dovere che sente nei suoi confronti?

La commozione ha un senso, perché con Gianni ho condiviso alcuni dei momenti più belli della mia vita. Gianni era un compagno di cordata, lo conobbi sui banchi dell'esame per maestro programmatore in Rai e poi chiedemmo di fare "Bandiera Gialla". Due ragazzi, due rivoluzionari alla maniera nostra che desideravano sprovincializzarsi. Insieme abbiamo inventato una cosa più importante di quella che viene catalogata come una trasmissione e basta: quella trasmissione inventava la categoria dei giovani. Che al tempo non c'erano, perché si verificava un passaggio tra ragazzi e adulti che non contemplava un momento intermedio. Ci chiedevamo come fosse possibile che alla radio si dovessero sentire canzoni vecchie, anziché ascoltare quella musica giovane di cui parlavamo noi. Creammo quindi "Bandiera Gialla", un titolo alibi scelto dalla Rai, e diventammo i primi DJ autorizzati a lanciare le canzoni che amavamo, portando addirittura i nostri dischi, scelti ed esaminati da una commissione di ascolto severissima, che trovò i Beatles fossero "un complesso musicale con problemi di intonazione". 

"NO, non è la BBC" vuole quindi essere il racconto di questa rivoluzione copernicana portata in TV?

Sì, un racconto scherzoso ma puntuale. Diciamo che vedrete una commemorazione che non vi aspettate. Non posso dire di più, ma è un programma che va visto dall'inizio, quando spiegherò come sarà la trasmissione. E assicuro che si tratterà di una maniera assolutamente diversa di fare un programma dedicato a una persona che non c'è più.

Diceva che lei e Boncompagni parlavate ai giovani. Oggi la televisione, per ragioni diverse, non sembra più in grado di parlare ad un pubblico di quella tipologia. Perché?

Ci sono X Factor ed altri talent, ma un programma in cui l'artista di qualsiasi età venga a raccontare la propria mercanzia e il proprio lavoro artistico, non c'è. E secondo me è una grave carenza. I giovani con "Bandiera Gialla" si davano un appuntamento, non andavano al cinema e non facevano altro per quell'occasione. Ma i programmi di appuntamento oggi sono principalmente politici. 

Le scorribande con Boncompagni sono il succo del vostro sodalizio, la grammatica del ‘cazzeggio' ha animato tutta la sua carriera. Oggi c'è qualcuno che segua quelle orme?

Non ci sono epigoni, tranne Frassica, che è di quella scuola, e qualcun altro come Fiorello. Non ci sono eredi. Ci sono tanti comici e stand up comedian, molti dei quali bravissimi, che scrivono i loro monologhi e li eseguono. Ma quella tradizione che io e Gianni abbiamo inaugurato, quella del jazz della parola, non vede seguaci. Il ‘cazzeggio' proviene dalla goliardia, dalla parodia, ed è essenziale che non sia scritto. Ho scoperto sulla mia pelle che una battuta mediocre inventata al momento, vale più di un'ottima battuta di seconda mano. 

Ma da dove partì tutta questa storia dell'improvvisazione? 

Gianni era sfaticato e non voleva scrivere nulla. Erano tempi, quelli, in cui si recitava sempre, in televisione come in radio, e noi non eravamo attori. L'idea di Gianni era quindi di andare a braccio, di fare come gli americani e improvvisare. Solo col tempo ho capito che in realtà gli americani non improvvisavano.

Ha citato Fiorello e mi interessa sapere cosa pensa di questa sua nuova avventura su RaiPlay, in uno spazio non definito che oltrepassa la TV tradizionale.

È una splendida idea avuta dall'amministratore delegato Salini, che va nella direzione di trovare una nicchia, un luogo che non sia affollato e pericoloso come quelli che ha già frequentato Fiorello con grande successo. Sono scelte che capisco benissimo, io stesso dopo Indietro Tutta dissi – e si vede il labiale – "mò ci vediamo tra vent'anni". Quando hai un successo strepitoso sei costretto a confrontarti con quel successo. Quello che ha fatto Fiorello lo hanno fatto Benigni, Renato Pozzetto, Nino Manfredi. Quasi tutti quelli che in TV hanno avuto un grande successo sono scappati dalla TV. Fiorello infatti ha dirottato sulla radio, sull'Edicola e ora su RaiPlay. La trovo un'ottima idea, anche perché si è svincolato dalla dittatura dell'ascolto. Solo adesso si comincia a capire, timidamente, che c'è un ascolto di un pubblico superficiale e quello di uno più esigente. 

"NO, non è la BBC" è uno di quei programmi che, oltre lo spazio televisivo, ambisce ad affacciarsi su un pubblico affine al web e andare oltre l'appuntamento televisivo?

Certamente sì. Io ho un channel da anni, che spero che venga sostenuto dalla Rai, essendo io insieme a Pippo e Piero (Baudo e Angela, ndr) tra i veterani dell'azienda. Sono un grande frequentatore notturno della rete e mi rammarico che spesso sia solo il luogo per cose rapidissime ed eclatanti, anziché essere usata come antologia per l'apprendimento. Sul mio canale io provo a fare divulgazione, spiegando quelli che sono stati gli intramontabili e precisi schemi dell'umorismo, come il sarchiapone di Walter Chiari. La mia missione è quella di mostrare quelli che io chiamo i ‘fundamentals' della parodia, dell'ironia, della satira. 

Gianni Boncompagni ha profetizzato la TV del "Non è", che oggi molti programmi hanno adottato, per certi versi in modo improprio. Lei che lo conosceva: qual era il segreto del "Non è" di Boncompagni?

C'era l'intuizione che il programma sarebbe stato diverso da una qualsiasi trasmissione in Rai. Non è escluso che nel pensare al titolo di "Non è la Rai" Gianni avesse pensato a "Non è la BBC", che era un jingle di "Alto Gradimento" basato sul fatto che la TV pubblica inglese venisse considerata il termine di paragone serio da avere come riferimento. Ma in quella roba lì Gianni è riuscito a perfezionare alcune sue trovate registiche geniali, come i primi piani nati a "Pronto Raffaella" con la Carrà che hanno rivoluzionato il modo di fare televisione. E ancora la scelta delle ragazzine, che erano un inno meraviglioso alla spensieratezza e all'allegria di giovanissime e giovanissimi, anche se a lui piacevano principalmente le prime. Ma al di là della malizia, Gianni si rallegrava nel vedere ragazzine che non avessero pensieri per la testa, celebrando l'allegria e la loro energia. Si potrebbe fare un discorso molto lungo nel paragonare quelle generazioni alle attuali, in cui chiunque vorrebbe diventare la Ferragni e fare l'influencer. 

Dice che l'aspirazione giovanile del tempo, inizio anni Novanta, fosse diversa da quella di oggi? 

C'era spensieratezza, non tutte ambivano a diventare Raffaella Carrà. La tematica stessa delle canzoncine di allora era gioviale, oggi artisti come Sfera Ebbasta sono quasi costretti ad utilizzare un linguaggio crudo, hard. E internet ha le sue colpe, è un'enorme risorsa, ma induce a un utilizzo aggressivo per il quale se non urli nessuno ti ascolta. E così non va bene. 

Dice che anche questo stato delle cose cambierà?

In questo senso io sono vichiano, ne discutevo spesso con Luciano De Crescenzo: credo nei corsi e ricorsi storici. Ho visto cambiare tante generazioni, ho visto il fascismo, la Democrazia Cristiana, il '68, il '77, Berlusconi e ogni volta mi dicevo che la nottata doveva passare. È sempre passata. 

Questa è l'epoca in cui la nostalgia domina sulla TV. Non si corre il rischio che questo sentimento svilisca la funzione stessa della memoria? Che svuoti di senso l'operazione stessa del ricordare?

La nostalgia può essere anche un sentimento negativo, perché è un ‘sentimento sentimentale'. La nostalgia può esserci per qualsiasi cosa e c'è chi riesce a provarne anche per tempi nefasti, sconsiderati. Però io dico sempre che la nostalgia deve essere uno stimolo a ricordare e riscoprire, quindi apprendere ed eventualmente creare. Non puoi suonare il jazz se non conosci il blues, se vuoi fare l'umorista del futuro della canzone napoletana, non puoi non conoscere Carosone. Per fare il grattacielo hai bisogno di fondamenta profonde, è così per le costruzioni, ma anche per le invenzioni, la musica, per la creatività.

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