Sul dissesto dei palinsesti Rai
L'origine della parola palinsesto, di cui molti si riempiono la bocca, la dice lunga su come il suo significato possa essere semplice quanto complesso e dunque fraintendibile, interpretabile in molteplici modi. Due volte grattato: c'erano tempi in cui la carta costava troppo, per cui si grattava con pietra pomice quella già utilizzata per azzerarne i contenuti e formularne altri. Il significato non comprende di certo il senso ulteriore che i membri del consiglio di amministrazione Rai hanno fatto proprio, chissà se per scelta o proprio per mancanza di comprendonio: si raschia due volte, non si riscrive due volte la stessa cosa.
Almeno questa seconda parte non è una pratica che la parola palinsesto ritiene necessaria per essere rispettata. A guardare il programma prefissato per il prossimo autunno per le tre reti Rai si devono andare a cercare col lanternino le novità. Si è proceduto per analogia , la programmazione di Raiuno è significativa, non avendo considerazione alcuna per il pubblico. Si è proceduto senza idee per evitare collassi, il palinsesto di Raidue ne avrebbe avuto bisogno. Questa mancanza di considerazione mette fondamentalmente in luce il problema principale di questa azienda pubblica, che è lecito pensare non sia una mancanza di competenze, ma l'assoluto disinteresse a mostrarle qualora si posseggano. E' impopolare dirlo, sicuramente senza alcun principio, ma si accetterebbe persino la spartizione partitica cui la Rai è sempre stata destinata se solo, a conclusione dei più deplorevoli giochi di ruolo che il palazzo architetta, si comprendesse l'esigenza di piazzare nel ruolo di apparenti dirigenti, teste di legno, personaggi capaci a comprendere cosa voglia dire fare televisione, bravi a dissimulare l'idea che dietro a tutto ci sia un' evidente lotta di potere.
Scegliere palinsesti invariati rispetto alla stagione passata (dei quali si può salvare solo il palinsesto di Raitre, in un certo senso confermato per la combinazione tra qualità e il successo riscontrato) rientra nella categoria di gesti inspiegabili di un potere occulto e totalmente egemone che, in quanto tale, dovrebbe possedere di default la scaltrezza di essere burattinaio invisibile, lontano dal riflettore ma col fiato sul collo di chi sotto il riflettore ci sta. Al contrario questo presunto potere occulto, in Rai, continua a spartirsi il palco con chi dovrebbe recitare la parte del direttore di rete o del membro di consiglio di amministrazione. Nella maggior parte dei casi gli ruba quasi la scena. La verità è che la Rai, più che strumento del potere, al momento pare strumento della stupidità di quel potere, vista l'assenza totale di attenzione nei confronti di un concetto fondamentale delle democrazie apparenti: è necessario un oppio per il popolo, qualcosa che lo distragga, ne attiri l'attenzione perché gli si possa togliere ufficiosamente quel diritto che gli spetterebbe in una democrazia.
Allora diamine, io il mio oppio lo voglio! accetto il compromesso di cedere il mio potere decisionale, purché mi si costringa a farlo con un calmante, un diversivo, almeno una televisione decente. Esigo che mi raggiri un potere furbo, perché a farmi truffare da un dilettante mi sento ancora più cretino. Diceva bene ieri Loris Mazzetti, nel suo articolo sul Fatto quotidiano, quando affermava che vedere un presidente d'azienda come Garimberti, al termine del suo mandato alla Rai, definire "deboli" i palinsesti della stagione successiva prima che essi venissero presentati, è cosa molto allarmante. Gli rubo anche il paragone, piuttosto efficace, ringraziando: un po’ come se la Fiat alla vigilia del Salone dell’automobile dichiarasse che la sua produzione non è all’altezza del mercato.