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“Salvai la vita a Maurizio Costanzo e Maria De Filippi nell’attentato, ricompensato con un orologio”

Sul ‘Corriere della Sera’, una lunga intervista a Stefano Degni. Il 14 maggio del 1993, giorno dell’attentato di via Fauro, era lui a guidare la Mercedes su cui viaggiavano Maria De Filippi e Maurizio Costanzo. L’uomo ha ricordato la dinamica di quella che poteva essere una strage, poi ha rimarcato l’amarezza di essersi sentito abbandonato.
A cura di Daniela Seclì
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Era il 14 maggio 1993 quando l'attentato di via Fauro, per mano di Cosa Nostra, sconvolse la vita di Maurizio Costanzo, Maria De Filippi e Stefano Degni, l'autista Ncc che guidava la Mercedes su cui viaggiava la coppia. Quest'ultimo ha rilasciato una lunga intervista al Corriere della Sera, nella quale è tornato con la mente al giorno dell'attentato.

14 maggio 1993 – l'attentato di via Fauro

Stefano Degni ha raccontato come si svolsero i fatti quel giorno. Ricorda ancora ogni tassello dell'accaduto. Maurizio Costanzo e Maria De Filippi erano sul sedile posteriore. Con loro c'era anche il cane lupo Liù. Mentre l'uomo svolta su via Boccioni, hanno sentito un botto fortissimo:

"La fine del mondo, scoppia tutto, buio, la Bosnia, macerie ovunque. La macchina, con tutto quel che pesava, 2.200 chili più 90 litri di benzina, si alzò di almeno un metro. Poi ricadde sul fianco. Mi colpì Costanzo. Capì subito cos’era successo e con grande calma disse: ‘Mamma mia, questa era per me'. La De Filippi aprì lo sportello gridando e il cane fuggì terrorizzato, tirandosela dietro con il guinzaglio. Costanzo, vedendola correre dietro a Liù, gridava: ‘Maria, dove vai?' Poi notò la mia camicia macchiata: ‘Stefano, ma lei sanguina!' Ci guardavamo increduli. Miracolati".

Dopo l'attentato, un sicario tentò di ucciderli

L'incubo non finì lì. Secondo quanto racconta Stefano Degni, infatti, un sicario si diresse verso di loro per accertarsi che fossero morti, pronto con la sua arma a finire il lavoro. L'uomo, per fortuna, venne messo in fuga dall'arrivo delle forze dell'ordine:

"Un uomo con la barba e i capelli scuri, che imbracciava una mitraglietta, in mezzo a tutto quel caos, nel buio, si avvicinò per controllare se eravamo morti. Allucinante: tutti fuggivano e lui avanzava verso l’autobomba. Era uno degli attentatori. Quasi certamente incaricato, se fosse servito, di dare il colpo di grazia. Noi ci eravamo rifugiati dentro l’androne del palazzo distrutto e fui io a spingere il portone, tra i calcinacci, per chiuderci dentro. In quel momento si sentirono le sirene che stavano arrivando e il sicario fuggì. Un secondo miracolo".

Degni ritiene di avere avuto un ruolo cruciale nel fallimento dell'attentato perché gli attentatori avrebbero atteso come segnale l'accensione delle luci che indicavano la frenata prima di svoltare in via Boccioni: "Io non freno, e la strage fallisce. […] Invece di toccare il freno, levo semplicemente il piede dal gas e la Mercedes rallenta di botto, senza che si accendano gli stop. Questo li ha confusi".

I danni fisici e psichici dopo l'attentato

Stefano Degni, infine, ha concluso il suo racconto parlando "dell'amarezza di sentirsi abbandonato". L'attentato lo ha portato a lottare contro "danni fisici e psichici" oltre a quelli economici che ammonterebbero a 200 milioni di lire. Ottenne "un esiguo risarcimento nel 1994": "La macchina me la calcolarono solo 8 milioni, quando ne valeva 42. Per i danni fisici e psichici, lo choc, la polvere di vetro negli occhi, che ho tuttora, ho ricevuto 20 mila euro, e sa quando? Nel 2010". Quindi ha concluso:

"Pensare che gli amici mi prendono in giro: a salvare la vita a Costanzo e la De Filippi ti sei sistemato, beato te. Sai come ti hanno risarcito? Maddeché, rispondo. Dopo un paio di mesi mi regalarono uno svegliarino Jaeger-LeCoultre, bello per carità, li ringraziai tanto, un oggettino vintage di grande valore, ma sempre un orologio resta…".

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