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Rita Dalla Chiesa: “A Milano 4 cerimonie per ricordare mio padre, a Roma nemmeno una”

Sfogo amaro della conduttrice alla vigilia dell’anniversario dell’uccisione di suo padre, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, e della madre Emanuela Setti Carraro. Nel sottolineare le numerose cerimonie di celebrazione organizzate a Milano, rimarca sui social le mancanze della capitale, ricevendo grandi manifestazioni di solidarietà.
A cura di Andrea Parrella
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Era il 3 settembre del 1982 quando un commando mafioso uccise Carlo Alberto Dalla Chiesa, allora prefetto di Palermo, la moglie Emanuela Setti Carraro e l'agente della scorta Domenico Russo. Sono passati 36 anni ma quello resta uno degli eventi più sanguinosi e tristi della storia repubblicana italiana, segnato da quel cartello comparso in quei giorni che recitava "qui è morta la speranza dei palermitani onesti".

A distanza di anni si tratta di una vicenda ancora molto sentita su cui per logica Rita Dalla Chiesa, figlia del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, non ha mai smesso di fare luce, utilizzando la sua capacità di influenza mediatica per far sì che il ricordo di quella tragica giornata non svanisse mai. Per questo motivo fanno un certo effetto le parole della conduttrice, che alla vigilia dell'anniversario della morte dei suoi genitori ha pubblicato un tweet per sottolineare come la città di Roma, a differenza di Milano, non avesse previsto una cerimonia per ricordare una giornata tristemente rimasta nei libri di storia e la morte di un uomo dello Stato:

Uno sfogo amaro che ha raccolto l'appoggio e la solidarietà di molti seguaci, tra i quali c'è anche chi ha risposto inviando immagini e testimonianze del puntuale ricordo celebrato nelle diverse città italiane.

Le condanne per l'omicidio di Carlo Alberto Dalla Chiesa

Per le strage di via Carini furono condannati come mandanti molte delle figure apicali di Cosa nostra, tra cui Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci. Le indagini ufficiali hanno stabilito che a motivare la condanna da parte dei capimafia fosse stata l'attività da prefetto di Palermo. Diverse le teorie sul movente dell'omicidio, tra cui quella secondo la quale il generale sia stato ucciso per ciò che aveva scoperto nell'ambito delle sue indagini sul caso Moro: il giornalista Mino Pecorelli, ucciso nel 1979 in circostanze misteriose e molto legato al generale, dichiarò che i documenti rinvenuti sul caso contenevano informazioni su presunte responsabilità politiche del sequestro. Non vanno inoltre dimenticate le parole del superpentito Tommaso Buscetta, che anni dopo la strage ricorderà una frase dettagli dal boss Gaetano Badalamenti:

Dalla Chiesa lo hanno mandato a Palermo per sbarazzarsi di lui. Non aveva fatto ancora niente in Sicilia che potesse giustificare questo grande odio contro di lui.

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