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Ricordare Faletti come poliziotto che si reinventò tenente

Muore a 63 anni Giorgio Faletti. Entrato nelle case italiane con la divisa da poliziotto per poi reinventarsi nel confronto con il “tenente” sanremese con la stessa credibilità di quando inghiottì un cuscino e si finse un duro con una pistola giocattolo. Un passaggio di grado che non affrontò sul palco, ma che di sicuro gli andrebbe conferito nella vita.
A cura di Eleonora D'Amore
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La morte di Giorgio Faletti dovrebbe essere accompagnata dall'esclamazione Minchia! Sì perché da quando ha partecipato al Festival di Sanremo 1994 con il brano "Signor Tenente" l'esclamazione Minchia! non ha più avuto lo stesso significato. Ha assunto un accezione liberatoria, è diventata un'esclamazione usata come intercalare, volta ad esorcizzare un malessere, a svilirlo, quasi a deriderlo. Bisognerebbe riconoscergli l'intenzione con la quale ha portato avanti i suoi piccoli e grandi successi, la capacità di credere nelle sue fasi camaleontiche con invidiabile determinazione. Non è mai stato ridicolo, seppur facesse parte della prima avanguardia comica della tv e fosse stato lanciato da un programma di puro intrattenimento come Drive In. Non è stato ridicolo nemmeno quando ha ingoiato un cuscino e indossato la divisa del poliziotto, dai pensieri confusi e l'accento buffo, intento a scuotere maldestramente una pistola scarica davanti ad un pubblico di figuranti; non lo è stato nemmeno nelle vesti di effeminato stilista, quando nel programma Emilio indossò turbante e pashmine per fingersi maestro di stile.  A dire il vero nemmeno da paninaro (Carlino), da suora scatenata (suor Daliso) o da improbabile testimone (di una fede, nel suo caso, mai esistita).

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Questo forse il motivo per il quale la promozione (da serio poliziotto), che si concesse autonomamente davanti al tenente sanremese, fu ampiamente condivisa. Non ci fu alcuna obiezione quando i suoi occhi fissarono il piccolo schermo e tentarono di descrivere il sapore amaro della vita di caserma postuma alla strage di Capaci, la rabbia di dover accettare ogni giorno che "chi ammazza prende di più di quel che prende la brava gente" e l'incoscienza disincantata dei 20 anni nel non aspettarsi un rapporto da un suo superiore. Nessuno ebbe da ridire su questo cambio di rotta deciso, quando la sua anima comica intrisa di malinconia si decise ad abbandonare la pura ironia per sprigionare tristezza. Quasi fosse un processo naturale, quel passaggio dal sorriso alla bocca serrata, protetta prima in una barba rada e poi in un sapiente pizzetto canuto.

La sua crescita umana gli conferì, quasi naturalmente, un'aria austera, severa, a tratti dura e spigolosa, e il cinema ne beneficiò affidandogli la paternità di personaggi come il professor Carogna (Antonio Martinelli in Notte prima degli esami) e lo spietato boss della malavita di Cemento Armato. Una fase autoriale, vissuta sempre più in sordina, durante la quale preferì mandare avanti le parole, immortalando il suo volto solo in copertina. So leggere la parola fine quando la vedo scritta, scrisse in Io uccido, e forse oggi per la prima volta ha dovuto arrendersi di fronte a quell'ultima mortificante pagina bianca.

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