"Non dobbiamo vergognarci di dire la parola ‘neg*o' perché conta la cattiveria nella parola, conta l'intenzione. Se l'intenzione è cattiva, allora è da condannare. Il politically correct ha rutt'o ca**". Le parole di Amedeo Grieco nello sketch sulle parole proibite. Dove, lo dico chiaro, non c’è proprio niente da ridere.
Sono il primo ad amare – nel giusto contesto – il turpiloquio, l’iperbole, il cazzeggio, lo sfottò. Pensate che, a 37 anni suonati, con gli amici di sempre ancora mettiamo “le mamme in mezzo” per ricordarci di quanto eravamo stupidi e belli a 15 e 16 anni.
Ieri sera Pio e Amedeo hanno fatto quello che generalmente si fa in un contesto ristretto – dire una cazzata, due e poi tre e dopo magari ragionarci su – in un programma televisivo seguito da 4 milioni e più di spettatori. Due maschi bianchi vogliono spiegare alle persone di colore che “neg*o” è ok, se non c’è cattiveria nell’intenzione, che bisogna ridere in faccia a chi ti chiama così. E che gli ebrei però erano tirchi. Che il Gay Pride non serve più: “Mica noi abbiamo bisogno di andare in un corteo a gridare “Viva la fi*a”? Già che ci siamo: “ricchi**i è ok, rideteci sopra”.
La chiave del successo di Pio e Amedeo è questa. Portano in scena il clima della tavolata tra amici (maschi, tutti maschi) dove si parla con leggerezza. A volte anche solo per il gusto di farlo, per ricreare quel dolce schiamazzo che è stata l’adolescenza. Capite, vero, che c’è differenza tra una tavolata e la televisione?
È un momento storico delicato. Le parole ci aiutano, sono armi importanti che possono realizzare quel cambiamento di prospettiva che il nostro Paese necessita. Se non altro, a seconda di come le usi, le parole svelano chi sei e da che parte vuoi stare. Sicuri che quella di Pio e Amedeo sia la parte giusta?