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Paolo Calabresi: “Tutti vorremmo Boris 4, ma senza Mattia Torre è improbabile”

Intervista al Biascica di Boris, l’iconica serie Tv di cui si chiede a gran voce una quarta stagione che lui stesso la vorrebbe, ma che ci spiega perché difficilmente ci sarà dopo la morte di uno dei tre autori, Mattia Torre. Accanto agli aneddoti e ai ricordi, Calabresi confessa l’irripetibilità di questa esperienza: “Boris è l’unico prodotto in cui, quando mi rivedo, non mi faccio schifo. Anzi mi faccio ridere e questa cosa è unica”.
A cura di Andrea Parrella
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Le petizioni sul sito Change.org sono emblematiche del tempo che viviamo. E forse ce le ritroveremmo in Boris 4, se solo andasse in porto la raccolta firme lanciata dai fan della serie per convincere Netflix a produrre la quarta stagione di quello che senza fatica possiamo definire un miracolo della televisione italiana. Lo sa bene Paolo Calabresi, alias Biascica, che nulla fa per nascondere un'idea di Boris in tutto e per tutto sacra e intoccabile.

Al di là dell'aspetto celebrativo della cosa, credi ci siano concrete speranze per una quarta stagione di Boris?

È doloroso dirlo ma purtroppo no. Mai dire mai, ma quelle difficoltà che avevano impedito la produzione di un'altra stagione quando Mattia Torre era ancora vivo, oggi rendono improbabile la fattibilità della cosa. È una mia sensazione.

Mattia Torre era il motore del trio?

Erano un mostro a tre teste, perfettamente equilibrati, ognuno con le sue peculiarità. Giacomo Ciarrapico è un dialoghista unico, Luca Vendruscolo ha un approccio scientifico alla materia, Mattia era quello con la visione mai scontata, che andava sempre oltre. La sinergia era perfetta.

Possibile che nessuno abbia mai proposto di continuare?

Gliel'hanno chiesto tutti in verità, da Fox a Sky e sembravano quasi in procinto di farla, dipendeva solo da loro. Gli attori non vedevano l'ora, i fan non vedevano l'ora, le reti non vedevano l'ora.

Qualcosa è andato storto?

Siccome loro sono degli sceneggiatori molto particolari, che fanno le cose solo quando se le sentono davvero dentro, sostenevano che le condizioni della situazione televisiva italiana presenti quando è nato Boris – per intenderci, un diffuso Occhi del cuore 2 – fossero terminate in quanto c'era stata un'evoluzione, con piattaforme come Netflix e altre. In sostanza si poteva scegliere, non c'era più quella prigione che costringeva gli spettatori prima, o questo o niente. 

Discorso anche condivisibile.

Condivisibile, ma io ho sempre obiettato in nome del fatto che secondo me, proprio in virtù di questa grande varietà di offerta, tutta la zona Occhi del Cuore 2 era diventata più circoscritta e meno diffusa, ma sempre più Occhi del Cuore. Per molte fiction attualmente in onda il tempo non è passato e non vuole passare. 

Ti rivedi spesso in Boris o preferisci evitarlo come vale per molti colleghi?

Lo faccio perché Boris è l'unico prodotto in cui, quando mi rivedo, non mi faccio schifo. Anzi mi faccio ridere e questa cosa è unica, mi dà la sensazione della qualità di ciò che abbiamo fatto, di cui non mi prendo tutti i meriti perché senza quella scrittura sarebbe stato impossibile. Posso dire che è la stessa cosa per gli altri, con Pannofino ogni tanto ci scriviamo dicendoci "sai, ieri ho visto La Formica Rossa", lo facciamo come se parlassimo di persone che non sono noi. 

Esiste tutto un frasario di Boris, da "smarmella" a "gli straordinari di Libeccio", che somiglia al "cambiare tutto perché nulla cambi" del Gattopardo. Sono istantanee entrate nel linguaggio comune, che immortalano la quotidianità, scorporate dalla sceneggiatura. 

Questo si lega anche a ciò che ci succedeva all'inizio. Quando abbiamo fatto la prima stagione qualcuno storceva il naso, diceva che Boris facesse ridere ma che era per addetti ai lavori, una cosa circoscritta. Non capivano ciò che il tempo ha dimostrato, ovvero che il microcosmo del set de Gli Occhi del Cuore potrebbe essere declinato in qualunque situazione, qualsiasi contesto dove ci sia una sperequazione sociale. Queste frasi diventate aforismi sono esattamente la sintesi di questo discorso. 

Una volta consegnato alla storia il prodotto, immagino che anche molti detrattori della prima ora siano saliti sul carro dei vincitori.

Ricordo come se fosse ieri un produttore importante che dopo la prima puntata di Boris mi disse che ci stavamo a fa' le pippe da soli, probabilmente toccato da quello che si raccontava nella serie. Quando qualche tempo fa ho fatto un film con lui ovviamente non si ricordava di questo nostro colloquio e sul set si avvicinò dicendomi che quello che avevamo fatto in Boris era geniale, intramontabile. "Io lo avevo capito da subito", mi disse. 

Quando avete iniziato la lavorazione, eravate consapevoli che in Boris ci fosse qualcosa che andava oltre?

Ce ne siamo accorti subito per il livello di scrittura, ma mai avremmo pensato che sarebbe accaduto quello che è successo negli anni. La serie non è invecchiata, i ventenni di oggi la vedono per la prima volta e non è cambiato nulla. 

Altro elemento di unicità, e per certi versi anomalo, è che un'operazione come il film non ha sporcato la grazia e l'equilibrio perfetto di Boris. Concordi?

In realtà su questo io non sono molto d'accordo. Avrei fatto una scelta diversa e sarei andato avanti con altre stagioni, perché la tematica non era affatto esaurita. Lo sapevano anche gli autori, che erano sì contenti di fare il film, ma indecisi perché certi che i margini per proseguire con la serie ci fossero. Sono stato molto contento di andare al cinema – non so se ricordi i cinema, quegli strani posti con gli schermi grandi – però anche nello sviluppo della storia il film si perdeva un po' per la necessità di includere tutti gli attori e chiudere alcune vicende in modo un po' affrettato. 

Probabilmente gli sceneggiatori avevano altri progetti. Pur non essendoci state spaccature, Mattia Torre sembra aver scelto la sua strada.

Mattia ha dimostrato che poteva camminare con le sue gambe e, forse inconsciamente, essendosi reso conto che la sua vita sarebbe stata breve, ha anche avuto la necessità di raccontare cose più personali, come ne La Linea Verticale, Figli, Qui e Ora a teatro, che fece sia con Valerio Mastandrea che con me e Valerio Aprea. Lui aveva questa modalità di coinvolgere le persone con cui andava d'accordo, con cui poteva passare la serata scegliendo il vino che si doveva bere.

In America Better Call Saul, nata dall'acclamatissima Breaking Bad, ha avuto un grande successo. Dovessi immaginarti uno spin off verticale di Boris su uno dei personaggi, chi sceglieresti? Biascica non vale…

Se si va ad analizzare credo che moltissimi personaggi ne meriterebbero uno. René su tutti, ma anche Corinna, Stanis, Arianna, chissà come vive nel privato Arianna. Su Biascica e Sergio potremmo metterci su cinque o sei stagioni, proprio come Better Call Saul.

Forse l'unico su cui non si potrebbe fare uno spin off è il celebre dottor Cane.

L'attore che lo interpretava, Arnaldo Ninchi, è stato il primo delle tre dolorose morti che abbiamo avuto noi di Boris. Era uno strepitoso attore di teatro ed è significativo come per Boris avesse accettato di fare una parte senza mai essere inquadrato in volto, intuendo il valore dell'opera. 

Un po' come accadde per Roberto Herlitzka nella prima stagione. L'impressione è che voi attori la quarta stagione di Boris la fareste anche gratuitamente. 

Siamo una grande famiglia, tutti viviamo la sensazione di aver preso parte a qualcosa di irripetibile. 

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