“Paolo Borsellino – Era mio padre”: la storia del magistrato antimafia attraverso gli occhi di suo figlio
Ci sono uomini che grazie al loro operato riescono a diventare dei simboli, e come tali passare alla storia. Paolo Borsellino è uno di questi. Il magistrato palermitano è diventato con Giovanni Falcone il simbolo della lotta alla mafia e di una fedeltà allo Stato assoluta, spinta fino al sacrificio della propria vita. La sua è una storia affascinante ed esemplare, che viene ora ricostruita nel film documentario “Paolo Borsellino – Era mio padre”, nuovo episodio della serie “Nove racconta”, prodotto da Verve media company andrà in onda domenica 11 ottobre alle 21:25 sul Nove, il canale generalista di Discovery (e già disponibile su Dplay Plus).
A differenza di altre opere incentrate sul magistrato ucciso dalla mafia nell’attentato di via D’Amelio a Palermo, il 19 luglio del 1992, il racconto di questo documentario ha un surplus di emotività, essendo costruito su una lunga lettera scritta dal figlio Manfredi, attualmente funzionario di polizia in Sicilia.
Così al centro del documentario non c’è soltanto l’attività di magistrato di Borsellino ma si riesce a fare luce anche su alcuni suoi momenti privati, grazie a filmati originali provenienti dalla famiglia: integrati dalle preziose testimonianze degli amici più stretti, suoi e di sua moglie Agnese, questi filmati forniscono un ritratto per molti versi inedito di uno dei fondatori del pool antimafia di Palermo. Il documentario ripercorre poi tutte le tappe più importanti della carriera di Borsellino, una carriera spesso costellata da difficoltà e gli ostacoli che il magistrato ha dovuto affrontare nel suo impegno quotidiano per cercare di smantellare l’organizzazione di Cosa Nostra. Uno dei momenti più importanti riguarda ovviamente il racconto degli anni del maxiprocesso nell’aula bunker del carcere dell’Ucciardone, a Palermo. Un processo che portò alla sbarra più di 450 imputati e che per la prima volta permise di assestare un colpo alla mafia siciliana. Per arrivare a quel procedimento il pool lavorò per anni, spesso in condizioni difficili e sotto la minaccia continua degli uomini della mafia corleonese. Viene così ricordato quando i magistrati del pool, Falcone e Borsellino in testa, furono trasferiti nottetempo al carcere dell’Asinara, in Sardegna, in modo da poter concludere la requisitoria del processo in condizioni di sicurezza, dopo che alla procura di Palermo erano giunte voci di attentati in preparazione.
Ma quella di Borsellino è stata sempre una vita in prima linea. Tanto che anche quando, tra il finire degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, si staccò dal pool per trasferirsi a Marsala, entrò nel mirino di Matteo Messina Denaro, l’attuale numero uno di Cosa Nostra, tuttora latitante. E poi il ritorno a Palermo, dopo il massacro di Capaci, in cui perse la vita l’amico fraterno Giovanni Falcone, insieme alla sua compagna e agli uomini della scorta.
Borsellino è stato un uomo capace di camminare per lungo tempo con la morte al fianco, eppure, pur conscio di essere di fatto un condannato a morte, non solo non ha indietreggiato di un passo nella sua missione lavorativa, ma è anche stato capace di mantenere una serenità all’interno della famiglia fino agli ultimi momenti. E anche in questo caso risultano preziosi i filmati privati girati in famiglia, grazie ai quali si può vedere un Borsellino con il suo indistinguibile sorriso e la battuta sempre pronta, godersi l’ultima vacanza sulla neve a Capodanno del 1991, e concedere qualche gesto di tenerezza verso i suoi affetti più cari.
Ma parlare di Borsellino significa non fermarsi alla sua biografia, per quanto ricca e importantissima. C’è un “dopo” che ancora oggi tiene banco. E nel documentario viene quindi affrontata la complessa indagine per risalire a mandanti ed esecutori della strage di via D’Amelio. A 28 anni di distanza da quei fatti e dopo cinque processi, rimangono ancora molte zone d’ombra su quello che qualcuno ha definito come il depistaggio più grave della storia italiana recente. Filmati e audio originali di intercettazioni, interrogatori e sopralluoghi accompagnano il racconto di Fiammetta e Salvatore Borsellino (rispettivamente figlia e fratello minore di Paolo), che sono i principali artefici di una battaglia per la verità sul movente dell’attentato e sulla sparizione dell’agenda rossa del magistrato, che conteneva probabilmente materiale per qualcuno troppo scottante.