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Non è un paese per premi

L’edizione che doveva segnare il grande ritorno in Rai dei David di Donatello non è stata un bel vedere. Persino Carlo Conti, che è una certezza, è andato in difficoltà. Ma la verità è che per noi, in Italia, i premi televisivi non hanno mai avuto grande fascino. L’evento tv di casa nostra resta Sanremo.
A cura di Andrea Parrella
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Sarebbe interessante avere a disposizione un marchingegno capace di tracciare il flusso di pensiero di Alessandro Grande nei minuti di pubblicità durante i quali si è ben pensato di consegnargli il David di Donatello per "Bismillah", miglior cortometraggio dell'anno. Scegliamo questa piccola disavventura del regista, costretto ad aspettare la fine degli spot per pronunciare il suo discorso di ringraziamenti, come simbolo dell'edizione televisiva dei David di Donatello 2018. Non si entra nel merito di premi e vincitori, è giusto precisarlo, ma della serata che avrebbe dovuto segnare il grande ritorno dei David in Rai, dopo il biennio di rehab a Sky.

Il ritorno dei David in Rai

Tutto sembrava organizzato perché la Tv di Stato riuscisse a risollevare l'interesse del suo pubblico per lo storico premio cinematografico. A cominciare dal conduttore, Carlo Conti, volto dell'azienda per eccellenza, forte dell'autorevolezza conferitagli da tre Sanremo di grande successo e di un'esperienza sconfinata per questo genere di serate (Conti, in Rai, ha davvero condotto qualsiasi cosa).

Un Carlo Conti non in giornata

Così non è stato, e l'ostracismo culturale radical verso qualunque cosa porti il marchio Rai non c'entra. La serata televisiva è stata disarmonica, affrettata, a tratti indecorosa per i momenti di imbarazzo generati. Sorprende che uno dei punti deboli sia stato proprio il conduttore, uno dei volti televisivi più affidabili attualmente presenti in tv. La sua migliore dote, quella dell'essenzialità come chiave interpretativa di un programma tv, più che venire a mancare non ha trovato un punto di incontro con i tempi della cerimonia.

Per buona parte della serata ci si è chiesti perché si stesse correndo così tanto o perché si procedesse così a rilento. Col risultato che molti momenti sono stati eccessivamente compressi, ai limiti con la sgradevolezza per quanto fossero sbrigativi i modi, mentre altri sono durati un'eternità. E si deve ammettere che Conti non era in formissima, o almeno non lo erano gli autori, perché ripetere a Giorgia, Malika Ayane e Carmen Consoli la stessa domanda non è proprio un trionfo di fantasia. Non doveva essere in giornata nemmeno la regia, che ha pensato di mandare il nero pubblicitario sugli applausi per Villaggio, Moschin e Bacalov, morti quest'anno.

Poche le luci della cerimonia, tra le quali vanno certamente annoverate il racconto di Spielberg su Federico Fellini ("credo mi stesse dicendo che per conquistare il pubblico bisogna prima far parte del pubblico") e le lacrime di Renato Carpentieri, una volta ricevuto il premio come miglior attore protagonista. Interessante anche il monologo iniziale di Paola Cortellesi, per quanto l'aria portata dal vento femminista, legittimo e anche previsto, pareva inquinata da una deficit di spontaneità.

I David non sono gli Oscar

La Rai, tuttavia, ha un alibi. Almeno ce l'ha a giudizio del sottoscritto, che ritiene il problema risieda prevalentemente nella nostra indisposinibilità culturale rispetto a cerimonie televisive di questo genere. Non è roba che fa per noi italiani, anche se ci sforziamo ogni volta di lamentarci per l'abissale differenza tra la resa televisiva degli Oscar e i David. L'evento italiano che più si avvicinava alla cerimonia degli Academy Awards era certamente quello dei Telegatti, che non a caso sono un ricordo, nonostante l'operazione revival che li vedrà di nuovo in tv il prossimo autunno. Per il resto, una cerimonia come i premi per la tv, ad esempio, ha perso appeal nel corso degli anni, finendo pure essa per non essere più trasmessa. È come se non percepissimo la sacralità della liturgia, come se fossimo renitenti alla seriosità dei premi, dei discorsi emozionali, che in fondo significa anche non prendersi troppo sul serio. Siamo troppo italiani? Forse, ma questa forma di resistenza alle premiazioni è probabilmente motivata anche da un'altra questione sostanziale: il grande evento televisivo italiano è e sarà sempre Sanremo, una cosa che per tipologia e rilevanza mediatica non ha eguali al mondo. Non è un paese per premi, consapevolezza con la quale possiamo sicuramente riuscire a convivere.

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