Mi piace Fazio perché dura poco
Dalla prima apparizione di Roberto Saviano a Che tempo che fa di lunedì scorso, in pochi hanno risparmiato critiche dure al programma di Fazio. Sono arrivate un po' dappertutto, o meglio specie da chi non vedeva l'ora di poterle muovere, motivato da ascolti apparentemente deludenti e da un copione troppo omologato al solito menu. E' maledettamente vero che il programma possa sembrare un po' ripetitivo, che la distribuzione dei tempi non differisca dai prodotti presentati da quell'entourage negli ultimi due anni.
La durata fa la differenza – Ma c'è una differenza, di enorme portata, che distingue questo programma dagli altri due, in una parola: la durata. Sappiamo infatti che, mediamente, gli show serali della tv contemporanea tendono ad allungarsi inesorabilmente, seguendo una concezione della durata estensiva che costringe lo spettatore ad orari improponibili. Se non altro per l'esigenza di giustificare il fattore "evento", quell'epiteto aggiunto che in un certo qual modo dovrebbe stimolare il pubblico a mettersi davanti allo schermo. E invece spesso la durata, si trasforma in un peso indigesto, una lama a doppio taglio che può rendere insopportabile un prodotto. Di esempi sensibili ce ne sono tanti, ma di sicuro il più diretto e significativo è quello di Sanremo, le cui memorabili maratone ricche di vuoti sono un segno distintivo della kermesse, oramai più distintivo dell'aspetto strettamente canoro.
Inutile il confronto con Vieni via con me – Invece Che tempo che fa va premiato, almeno per questo aspetto, vista la brevità scelta, la via di una sintesi senza troppi eccessi, quindi per logica, una via intensiva. Termina alle 22:30, lasciando spazio ad un programma di seconda serata quando altrove la prima è più o meno a metà. Per il resto, tutti i discorsi relativi agli ascolti smarriti e alla coppia Fazio-Saviano dal sapore stantio sono abbastanza vacui e fondamentalmente di stampo ideologico. Provare a fare un confronto con Vieni via con me e Quello che non ho è un esercizio di superficialità, almeno per ciò che concerne gli ascolti. Da due settimane il lunedì è una serata televisivamente trafficatissima, nella quale ogni rete mette in campo un cavallo di razza (la Rai a pestarsi da sola i piedi con il successo de Il caso Tortora settimana scorsa, ieri Mediaset, col 31% di share di Celentano).
Inutile la gogna mediatica – Si può essere avversi alla compagine Fazio per elezione, nessuno condannerebbe questo modo di fare, ma non si dovrebbe mai sottovalutare la fedeltà al sacro vincolo del contenuto che quella stessa compagine ha scelto di esercitare da anni. Se si parte dal concepire Fazio un fenomeno, un rivoluzionario del piccolo schermo, è ben chiaro che dopo un'ora lo si ridimensiona, per effetto opposto, a dicitore di messe (è l'insulto più abusato). Al contrario, se si riflette sul fatto che da anni tenti semplicemente di fare una tv decente, senza alzare troppo la voce, verrebbe molto più facile interpretare questo Che tempo che fa come un format affaticato, ma non per questo interamente sottoponibile a gogna mediatica.