La ripresa delle messe a partire dal 18 maggio è senza dubbio la notizia più discussa di queste ore. L'approvazione della Camera a un emendamento che consente la ripartenza delle funzioni religiose ha spaccato in due l'opinione pubblica, alimentando un forte scetticismo presso chi riteneva il via libera alle messe un tema non prioritario. Le perplessità sul via libera alle messe sono ben riassunte qui, un articolo in cui viene analizzato il protocollo nei suoi punti più critici. Andando oltre il non trascurabile tema della discriminazione nei confronti di altri culti e religioni, ci si chiede secondo quali criteri il governo decida di consentire che le persone tornino a radunarsi in uno dei contesti considerati più a rischio contagio e, al contempo, non consenta anche altri momenti di socialità, eventualmente in grado di riattivare sistemi produttivi e settori economici ancora fermi.
I dubbi crescono se si pensa che in questi mesi a riempire il vuoto spirituale generato dalla chiusura delle chiese in molti credenti ci aveva pensato la televisione, che mai come in questo periodo di emergenza sanitaria da coronavirus ha saputo ascoltare i telespettatori e rispondere alle esigenze nate con il lockdown. Nel mese di marzo alcuni canali televisivi hanno subito una conversione in chiave liturgica, riscontrando un enorme successo di pubblico. In primis l'emittente della Comunità Episcopale Italiana, Tv2000, con il rosario dei record da 4 milioni di telespettatori e poi Rai1, che ha intercettato questo bisogno fissando in palinsesto la messa di Papa Francesco tutte le mattine. Non a caso il direttore di Rai1, Stefano Coletta, ha sottolineato in un'intervista al Fatto Quotidiano dell'8 maggio che "questo appuntamento sfiora il 25% all’alba. Sintomo che abbiamo risposto a un bisogno profondo".
La messa in Tv non è come quella in chiesa, dirà qualcuno, ma non è questo il luogo, né il tempo, per disquisizioni sulle modalità di fruizione di una funzione religiosa. Le opinioni degli esperti preoccupati per decisioni troppo affrettate, così come le immagini preoccupanti delle folle ai Navigli che arrivano a pochi giorni dalla parziale riapertura del 4 maggio, ci dicono che l'emergenza non si può considerare finita e il livello di allerta deve restare alto. Lì dove il più potente mezzo di comunicazione di massa era riuscito a rispondere alla necessità dei fedeli, seppure con uno schermo di mezzo, riaprire le chiese forse non era necessario. E siamo sicuri che i fedeli stessi lo avrebbero capito.