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Max Giusti torna in Rai con Boss in Incognito: “Vedremo come il Covid ha cambiato il lavoro”

Intervista a Max Giusti, il nuovo conduttore di «Boss in Incognito», un’edizione piena di novità. Anche lui andrà in incognito mischiandosi ai lavoratori: «È stata un’esperienza umana molto forte, in tempo di Covid soprattutto». Torna in Rai dopo quattro anni: «Mi sento un uomo al servizio degli italiani». E sul Covid: «Non dobbiamo fare scemenze. Siamo divisi in allarmisti, negazionisti e cazzari. Bisogna seguire chi ne capisce e chi è più bravo di noi».
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A due anni di distanza dall'ultima edizione, torna «Boss in Incognito» da martedì 8 settembre su Rai2. Il docu-reality prodotto con EndemolShine Italy racconta il mondo del lavoro attraverso gli imprenditori che decidono di guardare la loro attività dal punto di vista dei dipendenti, entrando in incognito, con più di una novità. Max Giusti è il un nuovo conduttore, per lui un ritorno in Rai «dopo una bellissima storia d'amore con Nove», ci racconta. Per la prima volta anche il conduttore andrà in incognito: «È stata un'esperienza umana molto forte, in tempo di Covid soprattutto». E sui negazionisti: «Non mi piacciono, non dobbiamo fare scemenze. Dobbiamo rispettare le regole».

Ritorni in prima serata sulla Rai dopo tanti anni. Quali sono le sensazioni a caldo?

Sensazioni positive perché torno dall'editore degli italiani, l'editore che mi ha regalato anni stupendi, tredici per la precisione. Ho avuto una bellissima storia d'amore con Nove e adesso torno dove ho iniziato. Sono molto contento soprattutto perché, dopo aver visto le prime due puntate montate, penso che abbiamo fatto davvero un ottimo di lavoro.

La grande novità di questa edizione di «Boss in Incognito» è la tua presenza all'interno delle aziende, mascherato e con un nome di fantasia. Come ti sei trovato?

Sono figlio di un metalmeccanico e di una commessa e ho sempre lavorato in vita mia, ho fatto i lavori di fatica vera quindi mi sono trovato benissimo a contatto con questo mondo. La vera difficoltà è stata quella di essere una persona travestita e camuffata e con un'altra identità, restando però nella vita vera. È stato complesso.

Per esempio?

I primi dieci minuti hai il terrore di essere scoperto. Per il resto, la preoccupazione era di essere un impulso utile in quel momento. Anche i legami di frequentazione che si creano all'interno delle aziende sono difficili da gestire in incognito. È stato difficile, in tempo di Covid soprattutto, ascoltare le testimonianze di tanti lavoratori, già caricati delle loro difficoltà personali. È stata un'esperienza umana molto forte.

Quando sono partite le riprese del programma?

Abbiamo girato subito dopo il lockdown: fine giugno, tutto luglio e inizio agosto. Siamo assolutamente contemporanei. Faremo vedere come si lavora nelle aziende in questo momento.

Prima hai detto di essere felice di essere tornato «dall'editore degli italiani». Ti senti un «uomo Rai»?

Non mi sento «uomo Rai» ma uomo degli italiani, uomo di tutti. La Rai ti fa sentire maggiormente questa cosa, è ovvio, c'è una grande responsabilità perché gli italiani pagano un canone. Mi sento «uomo Rai» se penso di essere entrato dalla porta di servizio e di essermi tolto tante soddisfazioni. Io però mi ritengo uomo di tutti, non ho mai avuto schieramenti politici e mi sono sempre ritenuto un uomo libero che fa la televisione di tutti i colori e per tutte le età.

Hai fatto tutto in carriera. Cosa ti manca?

Il Festival di Sanremo. Perché è il programma che ogni conduttore sogna di fare. Perché è quello che guardano tutti, ma proprio tutti. Ma a parte questo, io mi auguro di poter sempre fare i live, in televisione come in teatro. Però se dovessi esprimere un piccolo desiderio, ne avrei un altro.

Quale?

Mi manca l'opportunità di mischiarmi con gli altri artisti. Nella tv dei formati è sempre difficile incontrarsi tra di noi: nella mia carriera mi sono ritrovato a cantare con Venditti, con Dan Akroyd, con Pierfrancesco Favino, con Rocco Papaleo. È questo che mi manca in tv. Incontrare altri professionisti con un background diverso e unire le esperienze. Questo me lo vorrei proprio regalare.

Sei un grande appassionato di tennis. Come hai fatto senza Wimbledon quest'anno?

Più che Wimbledon, come ho fatto senza gli US Open. Ho fatto una pazzia lo scorso anno, sono partito da solo per assistere ai match con il clan degli azzurri, perché faccio parte della Federazione Italiana Tennis. Sono andato anche a rendermi utile, in qualche modo. Adesso c'è un amico che è lì, mi ha mandato l'immagine di lui che vede la partita dall'esterno dello stadio e mi spiace non esserci. Però, per fortuna, ci sono gli Internazionali a breve: speriamo che possa entrare più gente possibile.

Covid e negazionisti, come siamo messi? 

Non dobbiamo fare scemenze. Siamo divisi in allarmisti, negazionisti e cazzari. Bisogna seguire chi ne capisce e chi è più bravo di noi. Non mi piacciono quelli che si danno risposte da soli e si curano da soli, quelli che dicono che è tutta una cavolata. Dobbiamo imparare a convivere con queste regole, e per fortuna c'è chi sta imparando ad affrontarla e a vivere con questa cosa.

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