La tv del dolore sotto accusa: “Si oltraggiano vivi e morti in nome dell’audience”
"Noi qui facciamo solo informazione", disse la conduttrice col tono saccente, in una grigia domenica pomeriggio d'autunno. Ci vuole poco a confondere il pettegolezzo con l'informazione, il gesto di guardare nel buco della serratura scavando in un torbido che poco può avere a che fare con un caso di cronaca. La società postmoderna c'è riuscita alla perfezione scoprendosi interessata all'emozione più che all'informazione, alla lacrima e non al sapere. Basta osservare i palinsesti delle reti televisive cosiddette generaliste (Rai 1 e Canale 5) per capire che questo orientamento non sia più sporadico, bensì una costante. Ne è dimostrazione la polemica alimentata negli ultimi mesi dal presidente dell'Ordine dei Giornalisti, Enzo Iacopino, tesa a denunciare la presenza sempre più frequente dei casi di cronaca nera nella programmazione mattutina, pomeridiana e serale, spesso inseriti in un contesto in cui resta impercettibile il limite tra l'intrattenimento e l'informazione. Polemica che ha portato ad attacchi piuttosto duri a colei che è divenuta simbolo di questa stagione televisiva, Barbara D'Urso, la quale si contentò che questa querelle avesse portato ad un incremento degli ascolti per i suoi programmi.
Lo studio sulla tv del dolore
L'Osservatorio di Pavia ha tuttavia realizzato un'indagine dalla quale è emerso che la conduttrice di Pomeriggio Cinque e Domenica Live non sia la sola colpevole: sottoponendo all'analisi la programmazione delle reti principali Mediaset, Rai e anche La7 dal 15 settembre al 15 dicembre, sono stati riscontrati segnali di questa "attenzione ai casi di cronaca nera costante nel tempo, che prescinde da sviluppi reali delle vicende" più o meno ovunque, certo, in quantità proporzionalmente differenti.
Canale 5 e Rai 1 le principali colpevoli
In questa speciale classifica primeggiano Mattino Cinque, Pomeriggio Cinque e Domenica Live, trittico di Canale 5, ma anche Storie Vere e Chi l’ha visto?, lo storico programma di Rai 3 condotta da Federica Sciarelli. Meno criticità sono state rilevate in La Vita in diretta, Quarto Grado e Amore Criminale. Uno Mattina e I Fatti Vostri, che vengono sì contestati, ma con toni ridimensionati. Le reti che più hanno abusato di questo atteggiamento risultano essere Canale 5 e Rai1 (La7 è completamente assente) per un totale di tre ore di trasmissione, in media, ogni giorno Infine i casi di cronaca più "spremuti" in quel lasso di tempo sono stati quello del piccolo Loris Stival e di Elena Ceste. A quest'ultima vicenda Iacopino dedicò ancora un appunto mesi fa, quando di fronte al dilagare di servizi e ore televisive dedicate al caso, tuonò contro il silenzio delle associazioni femminili.
Enfatizzazione del dolore, processi virtuali, accanimento mediatico verso alcuni soggetti. E poi ancora raffigurazione strumentale del dolore, lo spettacolo nel dolore, l’eccesso patemico nel racconto, la narrazione empatica, il processo virtuale e la commistione tra generi che genera discrasie, queste le principali responsabilità attribuite ai programmi citati, colpevoli inoltre di andare in onda in fascia protetta. Il presidente dell'Ordine dei Giornalisti, che aveva garantito segnalazioni di tutti i programmi che non rispettassero vittime e minori, commenta che "su alcune di queste trasmissioni ci sono comunque dei distinguo. Alcuni aspetti positivi vengono evidenziati per Chi l’ha visto? e La vita in diretta. Anche Giancarlo Magalli ha avuto una pagella positiva". Il punto essenziale, a giudizio di Iacopino, resta sempre il limite impercettibile e il fatto che ad occuparsi di questi casi, spesso, siano non giornalisti, così come la D'Urso, denunciata per questo dall'Ordine. La conduttrice venne infatti contestata dal presidente dell'Ordine per non aver confermato l'iscrizione all'Ordine dei Giornalisti per danaro:
Spetterà poi alla magistratura stabilire se si tratta di intrattenimento o informazione e se vi sia quindi esercizio abusivo della professione. La cosa terribile è che spesso a dare il loro apporto a questo modo di fare informazione sono giornalisti costretti dalle aziende, sotto la minaccia del mancato rinnovo dei contratti a partita Iva o co.co.co
Con una certa complicità anche da parte degli organi deputati al controllo: "Segnaleremo il tutto ai finora silenziosi membri dell’Agcom, del Garante per la privacy e del Garante per l’Infanzia e l’adolescenza – chiosa Iacopino – Siamo convinti che sia oltrepassato ogni limite. Ci sono trasmissioni che oltraggiano il nome di vivi e di morti in nome dell’audience". Insomma, spesso eccediamo nell'attribuirci responsabilità quando non sappiamo rispondere alla fatidica domanda: è il pubblico che decide cosa deve andare in onda,o qualcuno sceglie cosa il pubblico debba guardare? La domanda resta puntualmente senza risposta, anzi ne genera semmai un'altra: se ci togliessero la tv del dolore per quelle tre ore giornaliere, accenderemmo ancora la televisione?