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Il prossimo Beppe Fiorello potresti essere tu

“Io non mi arrendo” è una fiction civile di assoluto valore ma allo stesso modo soffre di una semplificazione narrativa che la penalizza e che passa soprattutto per il protagonista principale. Per ogni grande storia che c’è da raccontare, il volto è sempre quello di Beppe Fiorello, interprete di un perenne trentacinquenne anche quando l’età scenica comincia a non permetterlo più.
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immagine di Fran
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La prima puntata della miniserie "Io non mi arrendo" è andata in onda ieri su Rai Uno con risultati che confermano, a chi bada a guardare sempre e solo i numeri, che la strada intrapresa è quella giusta. La fiction d'impegno civile piace sempre al pubblico, specie se parliamo di Terra dei fuochi, argomento centrale diventato per alcuni quasi un brand. Ben venga dunque che la Rai, nelle sue vesti di "servizio pubblico", continui a guardare a fatti di cronaca e attualità legandoli a personaggi positivi della storia contemporanea italiana, specie quelli dimenticati o poco conosciuti come Roberto Mancini, il commissario di polizia che per primo ha portato alla luce con la sua inchiesta "Rifiuti Spa", la piaga degli sversamenti di rifiuti tossici in Campania.

Guardare quello che produce mamma Rai solo dai dati di ascolto, resta però un errore che fa comodo solo a chi il prodotto in questione lo fa. "Io non mi arrendo" è una fiction civile di assoluto valore, ma allo stesso tempo soffre di una semplificazione narrativa che la penalizza. Una semplificazione che passa soprattutto per il protagonista principale, prima che per la struttura del racconto, che comunque meriterebbe maggiore cura e meno fronzoli da romanzetto. Intanto, per ogni grande storia che c'è da raccontare, il volto utilizzato resta sempre lo stesso, quello di Beppe Fiorello, interprete di un perenne trentacinquenne (e, occhio, che l'età scenica comincia a non permetterlo più) ora pronto a sventare il piano dei cattivi di turno, ora determinato a scalare le tappe del successo.

Beppe Fiorello sempre uguale a se stesso

La sovraesposizione mediatica di Beppe Fiorello è tale che ormai finisce inevitabilmente per appiattire l'importanza dei personaggi che interpreta. Solo negli ultimi tre anni il fratello di Rosario ha interpretato Domenico Modugno, una storia ispirata al judoka Gianni Maddaloni ed un'altra ispirata a Franco Di Mare, dal titolo "L'angelo di Sarajevo". Un trittico che, visti così a distanza ravvicinata, sembrano copie identiche per argomenti diversi, quasi come degli abiti-fotocopia indossati sul volto e sulle capacità attoriali di Beppe Fiorello. Dalla vita di Salvo D'Acquisto agli uomini vittime di errori giudiziari, come Enzo Tortora, dal Grande Torino di Valentino Mazzola al poliziotto antimafia Joe Petrosino e ancora Giuseppe Moscati e il bandito Sante Pollastri, amico del ciclista Girardengo.

Con "Volare" è riuscito a fare completamente suo il personaggio, oggi basta dargli un frac o una chitarra per trasformarlo in automatico in Domenico Modugno, tant'è che gira in tournée con uno spettacolo che ha registrato teatri pieni e favori del pubblico. Ma chi è in scena in quel momento? Domenico Modugno o Roberto Mancini? Gianni Maddaloni o l'angelo di Sarajevo? I personaggi di Beppe Fiorello finiscono per essere sempre una riduzione di se stesso, le cadenze e le movenze, le espressioni facciali, persino la fotografia sempre così netta per non dire asettica (quella smarmellata di Duccio Patané, sarebbe un segnale di vita) non aiuta. Sembra quasi di essere in un incubo diretto da Cristopher Nolan, che restituisce l'impressione di stare a guardare qualcosa che è già stato visto in un lavoro precedente, un creepypasta dove Beppe Fiorello interpreta Beppe Fiorello diretto da Beppe Fiorello.

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