Roberto Baggio è l'unico calciatore italiano vivente a cui si possa plausibilmente attribuire la parola "campione", nel suo senso più ampio. Dentro al campo come fuori, la vita del Divin Codino è legata a doppio filo con la nostra di appassionati sportivi e di italiani. Il Divin Codino, diretto da Letizia Lamartire e disponibile dal 26 maggio su Netflix, lo sa e quindi fa esattamente questo: nel raccontare la storia di un campione, dei suoi tentativi di combattere le avversità, prova a raccontare un po' noi stessi, le nostre speranze, le nostre gioie, i nostri fallimenti.
Gli sceneggiatori Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo hanno messo in scena Roberto Baggio (un bravissimo e misurato Andrea Arcangeli) puntando su tre momenti fondamentali. Tre momenti che rappresentano ognuno un punto critico, un'avversità che hanno frenato il campione aiutandolo a predisporsi al meglio per una sfida successiva: l'infortunio con il Lanerossi Vicenza nella settimana in cui diventava il 18enne più pagato d'Italia per il passaggio alla Fiorentina e il successivo incontro con il buddhismo; la spedizione a Usa '94, dal complesso rapporto con Arrigo Sacchi fino al rigore sbagliato nella finale con il Brasile; l'ultima giovinezza con il Brescia di Carlo Mazzone e la delusione finale della mancata convocazione di Giovanni Trapattoni per i Mondiali del 2002, quelli in cui la Nazionale sarà sbattuta fuori da Byron Moreno contro la Corea del Sud.
Roberto Baggio ha pagato un prezzo molto alto per il suo talento. In questo prezzo c'è anche il rapporto complesso con suo padre Florindo (straordinario Andrea Pennacchi), un rapporto fatto di infiniti rimbrotti, di severità, di dimostrazioni d'affetto gestite con il contagocce poi (finalmente) lasciate andare tutte assieme. Anche in questo rapporto padre-figlio c'è la bellezza di questo film, un elemento di verità gestito con grande sensibilità dalla regista che aiuta lo spettatore a stringere immediatamente il patto con la narrazione. E allora più guardiamo la vita di Roberto Baggio e più ci lasciamo trascinare nella nostra, perché la vita di Roberto Baggio è stata anche la nostra. Eravamo con lui quando si è rotto a 18 anni contro il Rimini; eravamo con lui quando ha calciato quel rigore altissimo sopra la traversa della porta difesa da Taffarel; eravamo con lui quando ha fatto grande il Brescia. Ricordiamo tutti dove eravamo nei momenti più importanti, che sono quelli più tragici, della vita di Roberto Baggio. Ricordiamo chi abbiamo amato, cosa ci mancava e per chi abbiamo sofferto. E come l'abbiamo superata, come ha fatto lui ogni volta. Ecco perché amiamo Roberto Baggio. Questo film lo sa, perché anche lui lo ama.