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Il diritto di non vedere La Casa di Carta e le altre cose di cui parlano tutti

Confessione di chi si è sentito costretto a guardare i primi episodi della serie spagnola di Netflix e prova ad analizzare l’ostilità impulsiva verso uno dei prodotti di maggior successo degli ultimi anni. Convinto di dare voce ai tanti che si chiedono, nell’enorme vastità di cose che oggi possiamo vedere, come faccia a piacere una cosa così.
A cura di Andrea Parrella
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Trovo La Casa di Carta un prodotto fastidioso, irritante. A qualsiasi interlocutore lo menzioni rivolgo un'espressione, facciale e verbale, che non si allontana dal disgusto e corteggia il disprezzo. Un prodotto opportunistico, ruffiano, un'ode al colpo di scena come fosse il solo elemento narrativo valido a trattenere qualcuno davanti al video. Spoiler: ci era già riuscito Beautiful. Ecco la premessa nervosa della confessione di chi non ne può più di restare in disparte nelle conversazioni da bar, che col coronavirus nemmeno possiamo più fare.

La Casa di Carta 4 sta per arrivare, La Casa di Carta 4 uscirà il, La Casa di Carta 4 finisce così, Ti Amo di Umberto Tozzi ne La Casa di Carta 4, la scena de La Casa di Carta 4 in cui, La Casa di Carta 5 si farà? C'è tutto un armamentario di domande sociali a me incomprensibili dietro a questo prodotto che da anni spopola irragionevolmente tra i più, alle quali si cerca risposta con una fame altrettanto inesplicabile. Così come percepisco urticante la mitologia dei personaggi, dal Professore al dizionario geografico che detta lo schema degli altri protagonisti: Tokyo, Rio, Berlino, Lisbona. Il fastidio mi annebbia la vista, ma vi prego di seguire la logica impulsiva (un ossimoro irricevibile, lo so) che sta alla base di questa mia digressione.

La sensazione da "una cagata pazzesca"

Non è che io non ci abbia provato a vedere La Casa di Carta. Seppur restio già alla vigilia, è stata la spinta comune a gridare al capolavoro a convincermi a dare un'occhiata. L'ho vissuto come una tortura. Ho resistito tre episodi della prima stagione, al termine dei quali la frase di fantozziana memoria (la ricordate la storia della cagata pazzesca?) ha iniziato a risuonare con insistenza nella mia testa. L'ho ritenuto ingiusto, ingeneroso verso la serie, perché un'opinione non equidistante. Ho capito che non avrei dovuto farlo e basta. Quindi mi sono fermato.

Sulle ragioni di questa mia ostilità preconcetta a La Casa di Carta si possono fare diverse considerazioni, la più credibile delle quali è che credo di essere tra le vittime involontarie di un effetto anti omologazione (a sua volta omologante) che si prende spesso gioco delle persone quando queste non si percepiscono coinvolte dall'entusiasmo per qualcosa che nel frattempo coinvolge una moltitudine di altre persone. Eppure hanno uno stile di vita simile, abitudini comuni e un modo di pensare nemmeno troppo alieno, ma sembrano in crisi d'astinenza da qualcosa per cui non si percepisce il minimo interesse.

Sì, il fenomeno è più complesso

Forse ha ragione Gennaro Marco Duello, quando scrive che "La Casa di Carta è una storia di successo perché ci mostra una forma semplice, eterna e universale: la rivalsa sociale degli ultimi e dei semplici", aggiungendo che quello che ci lega ad alcune serie Tv è un sentimento di appartenenza simile a quello che si prova per le squadre di calcio, quasi irrazionale. È altrettanto probabile che quella de La Casa di Carta sia un'operazione di scrittura (e marketing) scaltra e intelligente da leggere come fenomeno che segna la storia di Netflix, più che delle serie Tv: allarga il raggio d'azione della piattaforma ad un pubblico molto più ampio, nell'ottica di una fidelizzazione che stimoli poi a visioni diverse, variegate, dal carattere più complesso, più sofisticate.

Analisi, quest'ultima, che non lascerebbe spazio all'atteggiamento da tifoseria che ha segnato l'inizio di questo articolo. Sono certo che la sprezzante critica al prodotto possa avere per molti il sapore di un'eresia e non contesto quei molti, ma sono altrettanto sicuro di esprimere quello che una popolosa ma sotterranea comunità, animata da ragioni differenti, vorrebbe dire all'interlocutore. E cioè: che ci troverete mai di tanto di bello?

I giudizi a pelle

A chi tuttavia ribatte sottolineando la presunta illegittimità del mio giudizio perché non legato a una propedeutica visione attenta di tutta la serie, rispondo rivendicando il diritto alla non visione. Non si può vedere tutto, non si deve. La vastità di contenuti a nostra disposizione ci disobbliga da questo dovere. Sono allergico ad alcuni film di Christopher Nolan che mi hanno fatto addormentare, rigetto The Big Bang Theory, le ballerine che indossano le donne, i Nirvana. Ma se non le hai mai provati veramente!, mi spiattellerà in faccia qualcuno. Non vedo perché provare qualcosa solo per confermare una cosa che già sento.

Teniamoci stretti i nostri giudizi a pelle. Sono pochi, ma ci rendono diversi.

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