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I tentativi di imitare David Letterman in Italia sono tutti falliti

Esiste un David Letterman in Italia? No, non esiste. Però c’è chi, nel corso della sua carriera, ci ha provato diventando un “ibrido”. Ma l’anchorman è stato, è e sarà l’Intrattenimento. E l’Italia non ha avuto, non ha e non avrà mai il suo Dave.
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David Letterman è stato un personaggio fondamentale per la televisione, inventore di un genere, il migliore nel suo ruolo. No, non si fa fatica a dire che senza di lui la tv non sarà più la stessa, un assunto semplice e scontato, il migliore possibile (e lo ha usato Obama su twitter) per esprimere a caratteri cubitali quanto mancherà al "Late Show" e agli americani. L'universo "David Letterman" lo abbiamo vissuto di riflesso, 33 anni divisi tra un'epoca dove da noi arrivava "zero" dei suoi contenuti fino all'era "social media", dove ci siamo potuti ubriacare allegramente di clip e "ankward moments", i momenti più esilaranti, spezzettati e messi online giorno per giorno. Nel corso degli anni, Letterman diventava "la tv americana" sui nostri giornali quando le star del Belpaese erano "notizia internazionale". La tappa fissa era proprio nel salottino di David Letterman: Roberto Benigni, Marcello Mastroianni, Isabella Rossellini, Sophia Loren e, tra gli ultimi, Alex Zanardi.

Esiste un David Letterman in Italia? No, non esiste. Però c'è chi, nel corso della sua carriera, ci ha provato a diventare un Letterman "tricolore", riuscendo comunque a prendere spazio in tv e a creare qualcosa di "ibrido" e di funzionale allo scopo. Daniele Luttazzi, con "Barracuda" nel 1999 e con "Satyricon" nel 2001, ci è andato vicino, anche se il suo modello di fare "stand-up comedian" traeva ispirazione più da quei comici ancor più scorretti, che in tv ci andavano solo per i monologhi e che non avrebbero mai potuto sostenere una conduzione. David Letterman è stato in questo senso, il più completo possibile, capofila di una scuola che lascia eredi più che degni negli Usa, da Jimmy Kimmel a Jimmy Fallon. Anche Fabio Fazio ha fatto in carriera tesoro degli insegnamenti di David Letterman, "Che tempo che fa" è la versione "innocua" del Late Show. Per l'inserimento di una band che suona dal vivo, per i monologhi pungenti sui fatti d'attualità e la possibilità di avere ospiti dal vivo per fare promozione di se o di opere in commercio, inseriamo nella lista di quelli che devono qualcosa a David Letterman anche Serena Dandini ("Parla con me"), Fabio Volo ("Volo in diretta") e, esperimento più recente, Alessandro Cattelan ("E poi c'è Cattelan").

È il "politicamente corretto" che frega sistematicamente i tentativi italiani di fare qualcosa di accostabile al "David Letterman Show". Fabio Fazio si piega, si inginocchia ai suoi ospiti, con Letterman è sempre accaduto l'inverso. La distanza l'ha sempre decisa proprio il buon vecchio Dave: se l'ospite era uno "giusto", Dave saltava ogni schema ed ogni convenevole e l'intervista usciva fuori come due amiconi qualsiasi che chiacchierano come fossero in salotto. Se, malauguratamente, l'ospite meritava ben altra attenzione, allora Letterman lo demoliva con cognizione di causa. Due esempi: questa intervista a Paris Hilton, per esempio, dove le chiede "Allora, come si sta in prigione, eh?" o la memorabile conversazione con un alticcio Joaquin Phoenix, dieci minuti di vuoto assoluto che si concludono con le scuse di Letterman: "Mi dispiace che tu non sia potuto venire" (si scoprirà poi che Phoenix era nel personaggio di un mockumentary, "I'm still here", con Letterman totalmente ignaro della cosa).

Non avremo mai nulla come il "David Letterman Show", è qualcosa di fisiologico ed è nel nostro essere italiani. Guarderemo anche quest'estate, non senza nostalgia, ore ed ore di "Techetecheté". Ne apprezzeremo i momenti di alta televisione nazional-popolare, ancora e ancora. Mina e Alberto Lupo, Walter Chiari, Paolo Panelli, Cochi e Renato, il Signor G. oppure Renzo Arbore e l'Orchestra Italiana, Paolo Bonolis con Will Smith, i "one man show" del mattatore Fiorello e quelli dei suoi "b-side", da Giorgio Panariello a Vincenzo Salemme. Rideremo ancora. Ma il fatto di aver visto anche una sola puntata di "Late Show with David Letterman", è un marchio a fuoco, una liberazione dalle catene del "va tutto bene, siamo i migliori". È un po' come aver scoperto per la prima volta cosa vuol dire fare l'amore (e come si fa tout court). No, non sono rosicone, non sono un gufo: David Letterman è stato, è e sarà l'Intrattenimento. E l'Italia non ha avuto, non ha e non avrà mai il suo Dave.

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