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I 57 giorni di Luca Zingaretti potevano fermarsi a 56

Luca Zingaretti si conferma uno degli attori italiani più adatti per i ruoli più delicati. Ma è stata la produzione a non esserlo con quella tragica e mal ricostruita scena dell’attentato in via D’Amelio.
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Luca Zingaretti si conferma uno degli attori italiani più adatti per i ruoli più delicati. Ma è stata la produzione a non esserlo con quella tragica e mal ricostruita scena dell'attentato in via D'Amelio.

"Paolo Borsellino, i 57 giorni" prodotta da Rai Fiction con Luca Zingaretti nei panni del grandissimo magistrato è stata un'opera dalla grande capacità evocativa che è riuscita a mostrare tutte le debolezze, tutte le possibile domande e le risposte mancate che l'eroe italiano si è posto dalla strage di Capaci a quel maledetto 19 luglio 1992. Non era assolutamente facile il compito ed il rischio di scivolare su una buccia di banana, specie per la Rai che ha deciso di mandare in onda la fiction un giorno prima dei 20 anni dalla scomparsa di Giovanni Falcone, era altissimo. Uno scivolone lo si poteva rischiare non solo per l'abbondante filmografia che è stata dedicata ad entrambi: sono ben sette solo per Borsellino, del quale si ricorda con piacere solo il Giovanni Falcone del 1993 con Michele Placido nel ruolo principale ed un magistrale Giancarlo Giannini nei panni dell'amico di sempre.

Fortissima l'interpretazione di Luca Zingaretti ma come al solito le produzioni dalle nostre parti cadono in errore sul più bello, cercando di fare di più delle loro possibilità. Che senso ha quella tragica scena finale? Quell'esplosione creata malissimo, mixando le scene di repertorio ed il montato, con i figli che vanno a cercare il padre tra le fiamme, vediamo il loro volto sgomento fissare un punto in basso, quindi lo scorgono ed urlano a squarciagola. Ed alle loro spalle un elementare montaggio al cromakey raffiguranti le scene di repertorio di cui sopra dove il Felice Caccamo di Teo Teocoli al confronto è quasi forte quanto George Lucas. La prima regola fondamentale è massimizzare con quello che si ha a disposizione.Fare meno, in questo caso, non sarebbe stato peccare nei confronti del racconto, della ricerca storica e dell'accuratezza con la quale vanno affrontate certe produzioni.

Come in tutte le opere d'arte, o come le lezioni da pagina 2 dei manuali da accademia, va gonfiato tutto, inserita qualsiasi cosa, per poi asciugare. In questo caso l'ultimo fondamentale passaggio è mancato clamorosamente, regalandoci un immagine finale, quella della tragedia, che a guardarla una volta di più fa male e da fastidio. Eppure sarebbe bastato chiuderlo lì, su quell'ultimo abbraccio tra padre e figlio per farci gridare tutti al capolavoro.

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