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Dracula, il vampiro secondo Netflix

“Dracula” è il mito del vampiro aristocratico riscritto per Netfix e BBC da Mark Gatiss e Steven Moffat. Potevano farlo in questo modo soltanto loro perché sanno che cosa vuole il pubblico del “binge” in streaming. Ritmi condensati per starci bene in una miniserie da tre episodi. E sangue, tanto sangue.
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Affascinante, cupo, terrificante e letale. Dracula è probabilmente il personaggio più amato e certamente più popolare tra i "mostri" della letteratura. È forse per questo motivo che la rilettura del mito del conte aristocratico nato dal genio e dal talento di Bram Stoker, nel 1987. Mark Gatiss e Steven Moffat hanno riportato il personaggio al centro della scena, riscrivendolo per intero, al pari di quanto è stato ben fatto con "Sherlock". Il risultato, a parere di chi scrive, è stato semplicemente impressionante. "Dracula" è il vampiro ai tempi di Netflix, o meglio, è il vampiro secondo Netflix. Ritmi scanditi e condensati per starci bene in una miniserie da tre episodi. È il segmento che lo richiede, è il mercato, è il pubblico che vuole "tutto" e "subito". Poteva andare malissimo fare un'operazione del genere Riscrivere Dracula in questo modo solo se si è la premiata ditta "Gatiss e Moffat". Sono stati, in questo senso, il lasciapassare, il biglietto d'oro per la fabbrica di Willy Wonka.

La grandezza degli attori

Al netto di ogni spoiler, le libertà più grandi dell'opera quelle prese per il personaggio interpretato da Dolly Wells, Suor Agatha Van Helsing. Il celebre cacciatore di vampiri è qui una donna, una suora che ha non pochi problemi con la fede: "Come molte donne, sono intrappolata in un matrimonio senza amore" dirà al povero avvocato Jonathan Harker, interpretato da John Heffernan. Poi c'è lui, Claes Baeng. Ricorda la bellezza e l'austerità di Bela Lugosi, il Conte Dracula del 1931.

L'episodio perfetto

"Le regole della bestia" è l'episodio perfetto. Il primo dei tre episodi di cui la miniserie si compone, appare sulle prime un fedele specchio dell'opera originale. Andiamo avanti e indietro nel tempo, tra l'interrogatorio di Agatha e quello che è successo al povero avvocato in Transilvania. È il manifesto dell'opera perché, dopo una fase cadenzata e lenta, spiazza con un colpo di scena fondamentale. È questo che vuole il pubblico "binge", quello che ormai alterna la visione tra lo smartphone e la tv nel salotto. Il mio consiglio non richiesto è: dategli spazio e fiducia. Guardatela e godetevela. Fino all'ultimo morso.

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