Diaco: “La Rai non mi deve niente. Dei social mi ferisce la cattiva fede, una dittatura culturale”

Si è conclusa prima del previsto, l'esperienza di Pierluigi Diaco al timone del programma Io e te. Il conduttore è stato costretto a salutare gli spettatori di Rai1 con una settimana di anticipo, a causa di un caso di positività al Covid-19, verificatosi nel gruppo di lavoro. In un'intervista rilasciata ad AdnKronos, si è detto vicino alla collaboratrice che è risultata positiva. A Leggo.it, invece ha parlato del suo futuro in Rai e dell'avversione per i social.
Il futuro di Pierluigi Diaco in Rai
Nel corso dell'intervista rilasciata a Leggo, Pierluigi Diaco ha rimarcato la sua soddisfazione per gli ascolti ottenuti da Io e te. A suo dire, chi ha iniziato a seguire il programma di Rai1, avrebbe continuato a farlo nei giorni successivi. Così, gli è stato chiesto come mai la Rai stia facendo a meno di lui, se la trasmissione ha riscontrato tutto questo successo. La sua risposta è stata decisamente diplomatica:
"Ho stima di Stefano Coletta, abbiamo avuto un incontro qualche giorno fa cordiale e proficuo. Non giudico un direttore dal fatto che mi faccia lavorare o meno. Non credo che la Rai mi debba qualcosa. Ho già presentato una proposta per il 2021. Non mi piace fare la vittima. Sono attraversato da un sentimento di gratitudine".
Pierluigi Diaco, dunque, smentisce di provare risentimento nei confronti dei vertici Rai. Ammette che gli sarebbe piaciuto tornare in seconda serata, il sabato, con Io e te. Tuttavia, riconosce anche che il suo contratto scadeva il 4 settembre. Non era previsto che la programmazione di Io e te andasse oltre quella data.
L'avversione per i social
Lo scorso luglio, Pierluigi Diaco ha cancellato il suo profilo Twitter. Nelle ultime settimane, sui social si è parlato spesso del conduttore e non mancava chi sottolineava una certa aggressività nei confronti degli ospiti. Secondo Diaco, bastava riguardare le puntate su RaiPlay per rendersi conto che le accuse formulate contro di lui, erano spesso infondate. Quando gli è stato chiesto quale ritiene che sia il motivo degli attacchi, ha replicato:
"Penso che ci sia una dittatura culturale che radio e televisioni subiscono, con una sudditanza che mi colpisce. I media tradizionali sono molto più importanti di twitter. L'agenda degli argomenti non la possono dettare i social: dovrebbero farlo i media tradizionali, con argomenti che poi magari i social discutono. Preferisco i sapori del mondo dell’era analogica".
E ha aggiunto: "Non perdo certo tempo con quello che scrivono sui social dove ci sono troppe semplificazioni e troppa superficialità. Mi colpisce e mi ferisce la cattiva fede. I social danno una rappresentazione del Paese in cattiva fede, e non è vero. Il Paese è migliore di quello raccontato in rete". Infine, ha ribadito che i media dovrebbero smetterla di dare tutto questo peso alle opinioni espresse sui social, perché tra i tantissimi pareri espressi ci sono anche quelli senza "una legittimazione per esprimersi con argomenti complessi".