Dai successi di ieri ai flop di oggi. Scompare il varietà in tv
In principio fu il Varietà. Intrattenimento leggero in onda sugli schermi televisivi secondo le definizioni. Molto di più nella realtà. Soprattutto quella del nostro paese, dove la tv ha avuto e ha tutt’oggi un’influenza massiccia sulla sfera sociale e culturale.
Dopo il ruolo fortemente didascalico e pedagogico delle origini, a partire dagli anni sessanta in Italia la televisione si trasforma. Diventa simbolo e luogo di uno spettacolo “leggero”, fatto di luci, lustrini e paillettes, di sigle e performance musicali accompagnate da grandi orchestre dal vivo, di scenografie futuristiche, di sketch comici, balletti e momenti di puro teatro.
È il varietà, baby. Un grande gioco-televisivo, che contribuisce a stravolgere usi e costumi dei nostri connazionali. E al gioco ci stanno molti di quelli che diventeranno colonne portanti del fare tv in Italia: dalla Carrà, a Mike Bongiorno, passando per Corrado, Pippo Baudo, Sandra e Raimondo, Adriano Celentano.
Un genere, quello del Varietà, che per molto tempo è apparso intramontabile ed è stato fattore trainante dell’industria televisiva stessa. Milleluci, Canzonissima, Portobello, lasciano spazio negli anni ottanta alle stravaganze dei nuovi programmi delle reti commerciali come Drive In, Odiens e Striscia la notizia. Poi, nel decennio successivo, la consacrazione dei salotti televisivi e dei grandi contenitori della domenica pomeriggio, con la guerra (che dura ancora oggi) tra Domenica In e l’alternativa proposta dall’ammiraglia Mediaset (l'attuale Domenica 5).
"Punto e Basta", varietà del 1975 con Raffaella Carrà:
È il nuovo millennio a mutare il panorama e a mettere in crisi definitivamente questo macro-genere, a lungo simbolo indiscusso del piccolo schermo.
Gli anni duemila vedono una diffusione massiccia della tv via satellite e l’avvento del digitale terrestre, con una conseguente forte frammentazione dell’offerta e dei linguaggi stessi. Nascono nuovi generi: sono gli anni dei più grandi successi dei reality prima, e dei talent-show poi. Per lo spettatore la tv perde il ruolo di “palcoscenico” e diviene il luogo in cui osservare la realtà e la “verità”. Perché dovrei ridere di fronte a un comico di professione? Posso divertirmi guardando l’uomo della strada che racconta barzellette nella Casa del Grande Fratello ed emozionarmi di più sapendo che al suo posto potrei esserci io.
Detto fatto: il caro vecchio show di prima serata arranca e diviene sinonimo di flop. E in anni in cui la crisi ha letteralmente invaso anche il settore televisivo, i numeri spesso vengono prima di tutto e non si può non ascoltarli.
Solamente nell’ultima stagione sono stati moltissimi i “varietà”, o presunti tali, chiusi in anticipo, cancellati dalla sera alla mattina o spostati qua e là in palinsesto. Qualche esempio? A gennaio lo strombazzato Stasera, Che sera di Barbara D’Urso avrebbe dovuto rinnovare e innovare la prima serata domenicale di Canale 5. Una vera e propria partenza col botto, nel senso però del capitombolo fatto dal programma, che dopo un esordio da 12% di share, è riuscito a proseguire pure peggio e ha visto la sua fine dopo solo due puntate.
Stessa sorte è toccata di recente al re dell’intrattenimento "pensato" Paolo Bonolis e al suo Senso della Vita, partito non troppo male e poi crollato di settimana in settimana, fino ai 2.500.000 telespettatori della serata di chiusura. Cifre da far accapponare la pelle se si pensa alla caratura dei due personaggi, ai notevoli investimenti della rete rivolti ad entrambe le produzioni e al fatto che nella stessa identica collocazione il serale di Amici riesca ancora a fare risultati da capogiro.
Lite Vespa vs Baudo in diretta tv a ‘Centocinquanta'
Non è andata meglio in casa Rai. Lo show-evento sui 150 anni dell’Unità d’Italia condotto dall’improbabile coppia Vespa-Baudo è stato chiuso a causa di pessimi ascolti dopo solo quattro puntate, invece delle sei pianificate inizialmente, in un clima generale tutt’altro che sereno. E se due senatori della tv non sono riusciti a riportare l’intrattenimento televisivo ai fasti di un tempo, neppure puntando sulla nostalgia più canaglia, anche le nuove leve falliscono nell’impresa.
Belèn e Francesco Facchinetti, i volti più freschi e “nuovi” della tv generalista, non sono bastati a far decollare Ciak si Canta, chiuso in anticipo dopo aver perso in cinque puntate oltre quattro punti di share, passando dal 16,51% della prima serata al 12,15% dell’ultima.
Persino il volto rassicurante e amatissimo della Raffa nazionale non ha permesso all’Eurosong targato Rai 2 di fare bene. E il terribile dato del 6,5% non può che commentarsi da solo.
La tomba del Varietà, si potrebbe azzardare. Eppure delle eccezioni ci sono eccome. Il Festival di Sanremo di Gianni Morandi, su cui in pochi scommettevano alla vigilia, ha fatto il miglior risultato degli ultimi anni. E che dire de I Migliori Anni di Carlo Conti, che lo scorso inverno ha quasi sempre vinto la “battaglia dei numeri” contro Paperissima. Un vero e proprio fenomeno, poi, quello del programma amarcord di Rai 1 Da,da,da, già record di ascolti nel 2010 e proprio in questi giorni vicino al 15% di share. Non male per un preserale estivo.
Ma no, il Varietà non è morto e a molti piace ancora. Non ci sono dubbi, se è vero che nel nostro paese l’età media della popolazione è così avanzata. Il pubblico che ama il genere, però, spesso non ama le contaminazioni. E l’intrattenimento sul piccolo schermo lo preferisce puro, più tradizionale ed elegante. E se così non può essere, allora meglio vedere i vip e i meno vip scannarsi a suon di prove, nomination, canzonette, balletti o performance inconcludenti. Come dire che se non si può più ridere di gusto con certi personaggi che in tv non si vedono più, tanto vale deridere i replicanti di oggi.