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D’Alessio e Tatangelo, “questi sono loro” e va bene così

La realtà di quanto accaduto in prima serata su Canale 5 a “Questi siamo noi” va oltre il pregiudizio del retaggio culturale. Poca fantasia, pochissima poesia, ma tanto rigore, così D’Alessio e la Tatangelo si candidano ad essere Albano e Romina dei tempi moderni.
A cura di Andrea Parrella
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Gigi D'Alessio e Anna Tatangelo sono stati, ieri sera, un'esempio di apoteosi del popolare, la traduzione esemplificativa del concetto "bene o male, l'importante è che se ne parli". E l'impressione è che, aldilà di limiti oggettivi dal punto di vista della poetica e della fantasia, indipendentemente dalla smodata e fastidiosa tendenza ad esaltare come dei grandi artisti tutti gli ospiti che passassero sul palco (anche Pucci), gli Albano e Romina dell'era moderna hanno affrontato quest'impegno televisivo con un rigore ed una professionalità assoluti. Non si fa nessuna fatica a dire che "Questi siamo noi" (ecco il link della diretta) è stato uno show giusto, quadrato, senza eccessi (tranne ovviamente quando fratello Gigi ha regalato a fratello Kekko dei Modà la maglietta mimetica del Napoli), emozionante per i fan della prima ora e a tratti godibile per i fan di un'ora che non verrà mai, quelli impegnati a nascondere il sorriso per non dare a vedere.

Il resto è retaggio culturale, una giustificata tendenza a storcere il naso dinanzi all'idea che un personaggio così popolare possa aver raggiunto un tale picchio. L'immagine di Topolino impiccato davanti alla tv con D'Alessio e Kekko ha fatto il giro del web, ma parlare male a priori del programma sarebbe più prevedibile della rima perché/te in una canzone d'amore di Gigi e, in questo caso, vorrebbe dire esagerare. D'Alessio ha definitivamente smesso i panni del personaggio che "tu non lo sai ma è pure un discreto musicista, uno che ha studiato". Della formula del ma anche associata al suo nome non ne può più e lo spettacolo di ieri sera è stata la netta dimostrazione della volontà di superare questo pregiudizio. Fa brutto informarlo in questa sede che se lo porterà indietro per sempre questo fardello, ma la volontà va riconosciuta e pure le capacità affinate a stare su un palco nelle vesti di conduttore, al netto del pressapochismo d'alessiano (che poi è il pressapochismo nostro) che tanto schifiamo.

Se Gigi D'Alessio cercava soddisfazione, un riscatto, una riabilitazione popolare, non poteva chiedere di meglio che quanto gli è successo ieri sera. Fare questo show a Milano, oltre che una specie di provocazione, contribuirà a bonificare, più di quanto è già stato fatto negli ultimi anni, l'immagine pubblica sua e della fidanzata. Ieri, mentre D'Alessio conquistava Mediaset, il suo vecchio quartiere di Napoli non era vestito a festa, non c'erano i fuochi d'artificio che lo attesero dopo l'ottavo posto del primo festival di Sanremo al quale partecipò. I suoi fan storici hanno forse perso gli occhi della tigre, ma proseguendo nel paragone con Rocky, D'Alessio dimostra di continuare ad avere fame pure dopo un successo superiore alle più rosee aspettative: non si accontenta di restare il pugile bifolco di periferia che ha vinto una volta il titolo dei massimi con la forza della disperazione.

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