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Apprezzare Barbara D’Urso dal coiffeur

Il classico esercizio di guardare il piccolo schermo senza audio, mette davanti al fatto compiuto che le qualità di alcuni programmi provengono da dove meno ce lo si possa attendere.
A cura di Andrea Parrella
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Le ore d'attesa passate dal parrucchiere possono essere fonte di ispirazione in merito a riflessioni sulla Tv. Pare assurdo, ma è così. Ammesso, chiaramente, che il locale sia dotato di un televisore. Offre la possibilità di capire da dove venga il seguito maggiore dei programmi pomeridiani, più di tutti, quelli di Canale 5, e soprattutto di provare ad intuirne i perché. Il volume è sempre assente, benché alto è soppiantato dagli asciugacapelli e chiacchiericcio generale. Nel frastuono silenzioso ho osservato i primi piani succulenti dei ragazzi di Uomini e donne e poi, subito a seguire, quelli ricchi di pathos (autentico o meno è cosa da discutere) di Barbara D'Urso, che quest'anno ha trovato una degna concorrente in Cristina Parodi, col suo pomeriggio su La7. Rimanendone ipnotizzato dopo circa dieci minuti di attenta osservazione, mi son obbligato a provare a comprendere cosa stesse accadendo.

Ho compreso il regista di Pomeriggio Cinque che cerca costantemente lo sguardo della D'Urso, lei che osservando la camera nel mentre di un collegamento esterno annuisce ininterrottamente, dotata di un'efficacia comunicativa ed un'espressività pari se non superiori alle traduttrici in lingua LIS dei telegiornali. Da tempo si fa ironia, generalmente, proprio su quelle espressioni ridondanti, troppo fàtiche, nelle quali la conduttrice del contenitore pomeridiano dell'ammiraglia Mediaset si esibisce, ma è anche vero che sia proprio quello un fattore di distinzione, un marchio di fabbrica che è componente fondamentale per programmi di questo tipo, cioè la capacità di stabilire un contatto emotivo col pubblico. Ad analizzarla sembrerebbe quasi una cosa studiata, più che una semplice velleità della conduttrice

Esiste un non so che di conturbante nell'esercizio di osservazione del piccolo schermo in assenza di volume, assistere solo alle immagini. In quel caso si capovolge la naturale scala di valori che si tenderebbe a stilare in relazione alla qualità del prodotto. I criteri di valutazione cambiano e ciò che parrebbe eccessivo e grottesco nella versione "rumorosa", appare significativamente coinvolgente in quella senza audio. Si rimarrà sempre a cavallo tra due conclusioni infine, che appartengono alle due rispettive scuole di pensiero: ovvero capire se il risultato sia preferibile perché il silenzio contribuisca ad un ridimensionamento, un oscuramente parziale dei contenuti non troppo edificanti di taluni programmi, oppure se premi, in realtà, l'efficacia, l'essenzialità e la capacità comunicativa di un prodotto. Che in fin dei conti è lo scopo principale che un progetto televisivo qualsiasi dovrebbe imporsi.

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