Valerio Lundini: “Quello che vedete in Tv sono io, vestito più elegante”
Se nelle ultime settimane vi è capitato di "mettere sul 2" in tarda serata e ritrovarvi davanti una specie di extraterrestre, non vi preoccupate: era solo Valerio Lundini. Dall'inizio di settembre va in onda su Rai2 Una pezza di Lundini, programma Tv ideato da Giovanni Benincasa (qui l'intervista all'ideatore del programma), cucito addosso al comico e umorista romano, con la fondamentale partecipazione di Emanuela Fanelli. Una trasmissione che smaschera alcuni meccanismi della televisione, ma anche della vita quotidiana, il cui ridicolo emerge se estrapolati dal loro contesto. Così Lundini diventa un conduttore apparentemente improvvisato, di un programma apparentemente improvvisato. Ma per capire se ci è o ci fa, per comprendere lo scarto di assurdo che c'è tra il presentatore e la persona, si doveva andare alla fonte e chiedere al diretto interessato. L'ho fatto e a fine intervista mi sono reso conto di aver accettato un compromesso: non capire in quali momenti mi stesse prendendo in giro e in quali fosse serio.
Lundini, togliamoci subito il dente: quello che va in video sei tu, o un personaggio?
Sono io, io che faccio il programma, magari vestito più elegante, un po' truccato. Chiaramente, essendo in televisione sto più attento alle cose che dico, sono meno impacciato, se mi scappa di starnutire non lo faccio, ma solo per etica televisiva.
Arrivare in onda con un programma che porta il tuo nome da quasi sconosciuto, unito allo stile che il pubblico sta imparando a conoscere, ti rende una presenza aliena in Tv. Ti aspettavi, o meglio cercavi, un effetto del genere?
È un effetto che arriva prevalentemente dall'esterno, dall'interno mi riesce difficile decodificare questa cosa di cui mi parli. I pezzi che faccio mi appartengono e quindi è complicato associarli a un concetto alieno.
Fino ad ora ti avevamo visto solo in interventi brevi, spezzoni inseriti in programmi corali come Battute. Cosa cambia con la conduzione in solitaria?
Non sono cose così diverse, il programma è composto da una serie di pezzi che potrebbero essere proposti anche singolarmente. A me Giovanni Benincasa disse di avere in mente una trasmissione dal titolo "Una pezza di Lundini" e siccome farla condurre a Carlo Conti poteva risultare strano, ha chiesto a me di farlo.
Una pezza di Lundini mette al centro la televisione. La ribalti, la deridi, ma sembri conoscerla a menadito. che rapporto hai con il mezzo? Vedi e hai visto molta televisione?
Da piccolo ne ho guardata tantissima. Mi piaceva di tutto, adoravo la trasmissione della lotteria di fine anno. Di recente ne ho vista molto meno e non solo per colpa della Tv, anche se in parte pure quello. Sono nati moltissimi altri media che ti distraggono, possiamo vedere ciò che vogliamo, quando vogliamo, non siamo più abituati alla disciplina del palinsesto per non perdersi una cosa che, un tempo, non avremmo avuto più modo di vedere.
La parodia della Tv è la chiave principale della trasmissione. La televisione che funziona è solo quella che prende in giro se stessa?
L'espediente narrativo del programma, sostituirne uno saltato all'ultimo minuto, ti porta inevitabilmente a parlare di quel contesto ed è ovvio che balzino all'occhio alcune dinamiche oggetto di parodia, ma nel programma ripropongo situazioni quotidiane alle quali assisto, sempre in una chiave ironica. Non c'è solo la televisione. Sull'idea che il successo in Tv passi dalla parodia della Tv stessa, voglio sperare che continuino ad esserci cose belle indipendentemente dalla parodia che della televisione si fa.
Una pezza di Lundini ha un meccanismo consolidato che si affida all'effetto sorpresa sullo spettatore ignaro di quello che state facendo. Il programma così non rischia di avere vita breve?
L'effetto sorpresa è alla base dell'arte e questo principio vale per qualsiasi genere, non solo la comicità. La tua considerazione ha assolutamente senso, il tentativo è rinnovare il tutto, cercando di non fare mai cose che somiglino a se stesse. Sono il primo a dire di non voler ripetere ciò che ho fatto anche l'altro ieri. Chissà, in futuro ci sarà sicuramente qualcosa che il pubblico più attento e pedissequo troverà prevedibile, ma stiamo pensando a pezzi che risultino inaspettati per i più affezionati.
Con le sue provocazioni Una pezza di Lundini mette a dura prova l'imbarazzo dello spettatore, ne forza i confini. Ti poni mai il problema di pensare "no, questo è troppo"?
No, non credo mi capiti. Troppo in che senso?
Penso al pezzo con gli attori che hanno la sindrome di down e tu che li esalti a prescindere dai loro meriti scimmiottando, evidentemente, l'entusiasmo di qualche conduttore.
Va detto che in quel pezzo non venivano né insultati, né derisi, ma anzi esaltati in maniera patetica. Si sarebbe potuto offendere qualcuno che trovasse sbagliato esaltarli, ma questo avrebbe messo in crisi il meccanismo. Io poi sono convinto del fatto che quando una persona vede in televisione una cosa, capisce che sta avvenendo per un motivo, che ha un senso. È come se uno inizia a camminare su una corda, vuol dire che pensa di arrivare alla fine. Forse sono ottimista, non so. Magari molti non lo hanno visto, o magari il pubblico è così perbenista da aver creduto fossi serio mentre esaltavo i ragazzi in modo insensato.
Negli ultimi anni per dare alla comicità un tono si parla di stand up comedy. Che ne pensi della necessità di attribuire una sigla come bollino di qualità?
È un po' come chiamare graphic novel il fumetto o dire action figures anziché dire pupazzi. Secondo me ci sono cose di vecchio stampo più belle di cose di nuovo stampo e viceversa, quindi non credo nelle sigle.
Emanuela Fanelli è una figura fondamentale nel programma, mi pare più di una spalla. Come avete approcciato l'idea di dover condividere uno spazio che però fosse incentrato solo sul tuo nome?
Il nome del programma è "colpa" di Giovanni, non mi sarei mai preso la briga di avanzare la proposta e mi imbarazza anche dover entrare negli studi Rai facendo il mio nome per dire quello del programma. Con Emanuela le cose pian piano si sono bilanciate. A me piace tantissimo quello che fa lei, perché non fa scopa con quello che faccio io, però al contempo non è nemmeno una roba agli antipodi. Trovo molto interessante che ci sia il suo immaginario, cambia argomento senza cambiare stile.
Parliamo di riferimenti. Penso a Una pezza di Lundini e mi viene in mente Il caso Scafroglia di Guzzanti. Ci ho preso?
Guzzanti fa una roba che io non so fare, ovvero i personaggi, le voci. L'associazione è dovuta probabilmente al fatto che anche quel programma veniva fatto in tono serioso, senza risate del pubblico in studio. Lì ci sono tanti passaggi sottili per i quali metterci una risata in sottofondo sarebbe ingiustificato.
Poi c'è il riferimento a Frassica, che è stato anche tuo ospite e pareva gareggiaste a chi la sparava più grossa. Oltre all'approccio comico, a lui mi pare ti accomuni il fatto che il pubblico non capisce dove finisca la persona e inizi il personaggio.
Mettersi a fare a gara con Frassica rovinerebbe tutto, è una follia con la quale soccomberei. In generale non ho mai visto in lui un riferimento semplicemente perché io non ho mai pensato di fare questo lavoro. Da piccolo mi sono ritrovato a scrivere cose per altri, mi divertivo a farle e alla fine l'ho fatto.
Quindi quando è iniziato tutto?
Ma io in generale ho una band con cui, tra un pezzo e l'altro, diciamo cazzate, veniva naturale a tutti. Mi sono sempre divertito a scrivere cose buffe e surreali e la cosa è nata sostanzialmente da questa esperienza.
Avete un approccio comico, elitario, quantomeno non immediato. Come ti rapporti all'idea che qualcuno possa non capirti affatto?
Sicuramente c'è qualcuno che non lo capisce, ma quello avviene con tutto, non solo con la comicità. Il timore c'è, ma questa paura non si riferisce ad esempi estremi come quello che hai fatto tu, quanto più che altro a dettagli piccoli, modi di dire, osservazioni banali dette apposta che sono facilmente confondibili con cose che puoi realmente dire o pensare.
Ad esempio?
Senza farti il nome del programma, ma è capitato che abbia riprodotto in maniera fedele una situazione realmente vista in TV, la sola cosa che cambiava è che la stessi facendo io. Sembrava assolutamente ridicola, mentre nel programma originale pareva normale e questo fa capire quanto sia importante il contesto.
Ultima cosa: quante delle domande che ti ho fatto riproporrai ai tuoi ospiti nel programma?
Forse quella sugli artisti di riferimento, ma la porremo a un economista.